lunedì 30 giugno 2014

Amsterdam, aspettando il Kwakoe festival

Cresce l'attesa, ad Amsterdam, per il Kwakoe festival, la festa popolare della comunità africana per le vie della città. Da tre decenni questa festa colora gli ultimi giorni di luglio e si svolge nel parco Bijlmer, dove si svolgono diversi eventi culturali come le danze e degustazione di piatti tipici. Gli eventi come questi promuovono l'unità fra tutti i gruppi etnici che compongono il paese.
Quest'anno la manifestazione si svolgerà dal 12 luglio all'8 agosto. Ogni anno l'evento attira migliaia di visitatori nei 6 fine settimana sui quali si articola la kermesse. In programma di musica dal vivo, balli, proiezioni di film, sport, eventi informativi, dibattiti e molte varietà di cibi etnici. Un tema diverso viene scelto ogni anno e questo si riflette nella musica e spettacoli.  

domenica 29 giugno 2014

Il balletto nazionale della Georgia, emozioni a passo di danza

Il Balletto Nazionale della Georgia è uno dei più famosi complessi coreografici del mondo.
Fondato a Tbilisi nel 1945 da Nina Ramishvili e Iliko Sukhishvili, persegue l’intento di far conoscere le antiche danze popolari georgiane, di creare coreografie nuove ed originali, vivificando un repertorio antichissimo, di danze liriche e bellicose.
Tre sono gli aspetti dominanti e inscindibili del Balletto Nazionale della Georgia che si rinnova e si arricchisce di generazione in generazione e che riesce ad incantare e stupire.
La prima componente, austera e guerresca, è quella degli uomini dal gesto fiero, abili manipolatori di spade e pugnali; la seconda è quella delle dame dalle bellissime vesti, che scivolano sul palcoscenico con estrema eleganza e dolcezza; la terza è quella paesana, dei mattacchioni e degli acrobati. In tutte le coreografie del complesso si ritrovano, fuse armoniosamente, le basi della danza popolare, dal girotondo al gomitolo. Le danze maschili evocano le qualità del coraggio, del vigore guerriero, della baldanza avventurosa. Tutte le danze di ascendenza bellica, con artistici combattimenti, volteggi di spade e pugnali sono affidate ai movimenti di brillante e sorprendente virtuosismo degli uomini: sono loro che strabiliano il pubblico con gli incredibili salti e le faticosissime danze in punta di piedi.

Le danze femminili simboleggiano la sacralità e la regalità. Il movimento delle ballerine, tutto giocato sulla morbidezza delle braccia e delle mani, testimonia che nell’immaginario più antico del popolo georgiano la donna è una creatura algida e distante, inafferrabile.

sabato 28 giugno 2014

Le feria andaluse, esplosione di energia, colori e musica

Le feria andaluse, ricche di colori, musica, danze e allegria, traggono origine dalle tradizionali feria del bestiame di primavera e autunno, nate durante il Medioevo. Con gli anni queste feste hanno perso il significato originario, trasformandosi in eventi sociali a cui si partecipa con i vestiti tradizionali, con cavalli e calessi. Ogni feria ha la propria particolarità ma tutte presentano analoghe caratteristiche.
Sebbene abbia conquistato una fama mondiale e venga imitata da altre grandi feria, come quelle di Cordova, Málaga e Jerez, la Feria di Siviglia è relativamente recente (1847).
Si accede alla Feria, area recintata, attraverso una grande porta ornata di lampadine multicolori. L’interno è suddiviso in vari settori: la cosiddetta Calle del Infierno (inferno), quella del Recreo (svago), che accoglie le attrazioni tipiche (ruota panoramica, montagne russe, tiro a segno, tombola), la zona commerciale o Rastro (solo nei villaggi) e infine il Real della Feria. In quest’ultimo settore trovano collocazione le casetas , fragili ed effimere costruzioni in legno e tela adorne di lanterne, dipinti e mobili più o meno lussuosi, dove si mangia, canta e balla giorno e notte. Ci sono casetas riservate a comitive private, e casetas pubbliche.

Benché non sembri evidente, specialmente per coloro che assistono ad una feria per la prima volta, il programma viene stabilito in anticipo con precisione. Da mezzogiorno fino alle 16 circa, la gente si riunisce al Real indossando il tipico costume tradizionale. Le casetas si riempiono di musica e mentre alcuni ballano, altri passeggiano per le vie a piedi, su splendidi cavalli bardati o in carrozza. Dopo la siesta o la corrida, la festa è tutta dedicata ai bambini. La sera si cena all’interno della Feria in abiti più semplici, preparandosi ai festeggiamenti notturni. La settimana della feria trascorre così, dormendo poco e continuando comunque a lavorare per gran parte della giornata.

venerdì 27 giugno 2014

Musica turca, armonia di note con la Zurna e i Kasik

In Turchia la musica popolare è molto diffusa ed amata. La musica, infatti, è considerata uno mezzo di conversazione. Singolari sono gli strumenti che vengono utilizzati. Sin dall'antichità le canzoni dei nomadi, furono accompagnate da strumenti musicali maneggevoli e leggeri da trasportare.
C'è la Zurna, una specie di piffero e il Davul, una specie di tamburo, che sono gli strumenti più usati.
Tra gli strumenti a corda c'è lo Saz, una specie di chitarra, il Kemence, una specie di violino.
I Kasik, dei cucchiai di legno, che vengono suonati come le castagnette.
La musica in passato rappresentò una forma di potere, così come i Mehter, la cappella musicale del Sultano.
Con le conquiste degli ottomani, la musica turca, i ritmi, gli strumenti musicali, divennero conosciuti in Europa. Lo scambio di cultura portò in Turchia il violino, il clarinetto e l'armonica a bocca.


mercoledì 25 giugno 2014

Guatemala, aspettando il Rabin Ajau

E' iniziato il conto alla rovescia per il Rabin Ajau, la festa che si tiene dal 21 al 26 luglio a Cobán in Guatemala. L'ultima settimana di luglio si celebra infatti il festival che vede gli indios Kekchi indossare i loro colorati costumi.
L'obiettivo principale di questa manifestazione, è lo scambio culturale tra le diverse regioni. I festeggiamenti comprendono un concorso di bellezza per l'elezione e investitura della regina Rabin Ajau (Figlia del Re).
Questo evento ha le sue origini nella prima fiera di Coban organizzata nel mese di agosto 1936, momento in cui Coban ha goduto di grande prosperità economica dovuta principalmente alle esportazioni di caffè.
La bellezza e la tipicità di questa manifestazione sta nei costumi e nelle danze folcloristiche.  

martedì 24 giugno 2014

Yokthe-pwe, teatro delle marionette in Birmania

Una delle espressioni culturali più importanti e conosciute della Birmania è lo Yokthe-pwe, ossia il teatro delle marionette. Sviluppatasi intorno alla metà del XV secolo, questa rappresentazione raggiunge l’apogeo della popolarità e dell’importanza nel XVIII secolo quando rivestiva, nella società birmana, un ruolo di ben altro rilievo rispetto a quello di puro intrattenimento che avrebbe avuto nelle epoche successive.
Alle marionette, infatti, era demandato dalla corte il ruolo di diffusione delle notizie dalla capitale alle campagne, mentre gli abitanti dei villaggi, a loro volta, incaricavano i manipolatori di sottoporre le loro richieste alla famiglia reale, attraverso i buoni uffici delle marionette. L’importanza di questo scambio, che vedeva al centro i pupazzi, era tale che il re aveva una propria troupe che inviava in tournée nei villaggi e nelle fiere che si tenevano periodicamente presso i templi buddhisti. Inoltre, alle marionette era concesso ciò che non lo era agli esseri umani: ad esempio dare al re cattive notizie (nessuno dei sudditi avrebbe osato, pena la vita). A sua volta il re poteva utilizzarle per rimproverare, in modo indiretto, i membri della sua stessa famiglia.
Le marionette sono grandi, superano spesso il metro di altezza e, a volte, sono alte quanto un uomo. Indossano ricche vesti tradizionali su cui  spiccano ricami preziosi e decorazioni dorate. Sono costruite in legno e metallo, realizzate con grande precisione, maestria e cura dei dettagli tale da costituire, il più delle volte quando si tratta di esemplari antichi, autentici capolavori. Il volto è normalmente bianco con lineamenti delicatamente tracciati. Il rosso è invece destinato a caratterizzare il personaggio del buffone.
Nel teatro delle marionette tradizionale i personaggi sono ventisette, suddivisi fra figure che entrano sul palcoscenico da destra, i buoni, e figure che entrano da sinistra, i cattivi. Un’apertura centrale, invece, permette l’ingresso di creature celesti. Fra i personaggi buoni si annoverano il re, il principe, la principessa, i ministri, i nat (spiriti) e gli elefanti. Fra i personaggi cattivi si contano il mago, gli esseri magici, le scimmie, le tigri. A questi, in epoca recente sono stati aggiunti altri personaggi.



domenica 22 giugno 2014

Stonehenge, la magìa della festa d'estate

Per secoli, il solstizio d’estate ha rappresentato la festa più importante in tutta l‘Europa. Moltitudini di persone si spostavano per raggiungere Stonehenge (quest'anno sono stati circa 40mila).
A metà del II sec. a.C. in molti festeggiavano insieme la notte più lunga dell’anno, immersi nell’atmosfera magica creata dai megaliti.
Questa notte rappresenta un punto di svolta, il momento a partire dal quale il sole inizia a splendere ogni giorno un po‘ meno, fino alla rinascita che avviene con il solstizio d’inverno. L’antico rituale portava le persone a riunirsi e conciliava le loro credenze, anche se solo per una notte. Nell’aria si sentiva la fierezza di ciò che, con grande forza, realizzarono le generazioni precedenti. Le persone erano molto legate ai loro riti - la tradizione vuole che saltassero, ballassero e cantassero intorno ai fuochi della gioia, che in quella notte bruciavano fino al sorgere del sole. Si suonavano i tamburi, creando un’atmosfera che stringeva ancor di più il legame con la madre natura. Queste cerimonie dovevano rafforzare la fertilità della terra e, il rituale vuole che, durante quella notte, le persone dovessero cercare il piacere l’una con l’altra.
Al sorgere del sole, i fuochi si spegnevano e tutti si riunivano intorno al sacro cerchio dei megaliti. Così si suppone che si svolgesse, un tempo, la festa del solstizio d’estate.
Stonehenge risale al periodo neolitico e si trova appunto nella regione del Whiltshire, nell’Inghilterrameridionale e ancora oggi, in occasione del solstizio d’estate, raccoglie tantissimi appassionati dell’evento.
La notte del solstizio d’estate è uno dei pochi periodi all’anno in cui i visitatori possono accedere direttamente alla zona dei megaliti.

Per molte persone, ancora oggi, è importantissimo essere presente a Stonehenge in quella notte, come se questo rito avesse ancora un significato magico.

sabato 21 giugno 2014

'Ori Thaiti, tutto quello che c'è da sapere sulla danza thaitiana

I costumi richiamano gli antichi abiti per la danza,  quando le danzatrici erano avvolte nella tapa, prodotta con la corteccia ammorbidita dell’albero del pane o dell’ibisco, decorata con piume colorate, conchiglie e madreperla. Morbide movenze narrano epiche gesta, amori fra dei, leggende dal sapore antico. La cultura polinesiana e le sue varie espressioni convergono nell’Ori Tahiti, la danza tahitiana: il suo ruolo sociale, religioso e politico al giorno d’oggi ovviamente non è più forte come nei tempi antichi, ma la danza era e resta un piacere, un modo di comunicare, un’espressione che permea la vita degli abitanti di Tahiti e le sue isole.
Si ritiene che esistano almeno 17 tipi di danza prima dell’arrivo degli Europei
I movimenti di base della danza tahitiana sono il pa’oti, per gli uomini, e l’ori, per le donne. Il pa’oti è una sorta di movimento a forbice delle ginocchia, che si aprono e si chiudono mentre i fianchi e i talloni restano immobili e solo le braccia accompagnano il ritmo della musica. Le donne, invece, nell’ori, muovono morbidamente i fianchi, con una movenza che parte dalle ginocchia ma che non deve essere trasmessa al busto, che resta fermo. Le braccia, tese verso l’esterno, ondeggiano flessuosamente.
I diversi tipi di danza tahitiana, tutte create in accordo con i ritmi naturali della vita quotidiana, sono l’ote'a, l’aparima, il pao'a e l’hivinau.
La più nota è, probabilmente, l’ote’a. Nata come rito di guerra, può essere praticata da un gruppo di uomini (‘Ote’a Tane), di sole donne (‘Ote’a Vahine), o uomini e donne insieme(‘Ote’a Amui). L’accompagnamento musicale, fortemente ritmato, è dato da strumenti a percussione.
Un altro genere molto diffuso, e di grande interesse, è l’aparima. Si tratta di una danza molto particolare, una sorta di mimo in cui i ballerini raccontano una storia, in genere ispirata ad azioni di vita quotidiana, a volte anche con accompagnamento di canti. Generalmente viene eseguita stando in ginocchio e con i medesimi strumenti dell’ote’a.
L’hivinau è, invece, una danza che risale all’incontro della popolazione locale con i primi esploratori inglesi. Tanto è vero che il suo nome deriverebbe da “heave now!”, cioè “issa ora!”, il grido con cui i marinai inglesi si incitavano a vicenda cercando di sollevare con l’argano le pesanti ancore dei velieri. In questo ballo uomini e donne si muovono in circolo mentre un danzatore solista lancia delle frasi riprese dal coro.
Infine, il pa’a’oa è una danza che richiama le attività tradizionali dell’arcipelago: la produzione dei tapa, la pesca o la caccia. Uomini e donne siedono a formare un semi-cerchio. Un cantante solista lancia una frase musicale che viene ripresa dal coro. A questo punto una coppia di danzatori si alza ed esegue una breve coreografia, sostenuta dall’incitamento dei ballerini seduti in semi-cerchio. 
Balletti, riti, celebrazioni e coreografie erano sempre accompagnati dai canti tradizionali: il canto popolare polinesiano si chiama himene e deriva dalla mescolanza degli inni religiosi dei primi missionari protestanti con i canti polifonici tahitiani in uso prima del loro arrivo. Si distinguono l’himene tarava, canto complesso interpretato da gruppi di almeno 80 persone, e l’himene ruau, cantato su un tempo lento da un coro misto. L’ute paripari invece è un canto interpretato su un tema della vita quotidiana, ritmato da due o tre persone accompagnate da un’orchestra tradizionale, dove accanto a strumenti come la chitarra, l’ukulele e l’armonica, si inseriscono gli strumenti tradizionali polinesiani, quali il To’ere, una sorta di tamburo tagliato in pezzo di legno, o il fa’atete, composto da una membrana di pelle di vitello tesa con lacci e chiusure di legno ad anelli simile a un tamburo.  

venerdì 20 giugno 2014

Il Didjeridoo, lo strumento che fa.... comunicare

Il Didjeridoo è lo strumento musicale tradizionale degli Aborigeni abitanti l'Australia settentrionale.
La datazione delle sue origini non è certa. Gli Aborigeni credono che il didjeridoo gli sia stato donato da un popolo di creature soprannaturali che hanno preso parte alla creazione del loro popolo, durante il “Tempo del Sogno”. Lo scopo di questo strumento era di funzionare da richiamo per permettere ai due popoli di comunicare.
Il Didjeridoo si realizza a partire da tronchi vivi di Eucalipto resi cavi dalle termiti. Il tronco giusto per realizzare un Didjeridoo si sceglie colpendolo all'esterno con le nocche: più il suono è “vuoto”, più il tronco è pronto ad essere utilizzato.
La scelta del tronco giusto è impegnativa per gli artigiani, perché un tronco con una cavità troppo grande o troppo piccola produrrà uno strumento qualitativamente povero.
Una volta trovato il tronco giusto, questo viene sezionato e ne viene scelta la parte migliore, che sarà il Didjeridoo vero e proprio; si toglie la corteccia, si rifiniscono le estremità e a discrezione si decora la parte esterna. Il Didjeridoo è completo una volta ricoperta l'estremità dove poggerà la bocca con cera d'api.
Lo strumento è lungo da 1 a 3 metri, una lunghezza proporzionale a quella delle note che vi si eseguiranno: più lungo sarà il Didjeridoo, più basso sarà il tono delle note.
Si suona facendo vibrare le labbra in continuazione: da questo movimento scaturisce il suono ronzante di fondo, che poi si fonde con una speciale tecnica di respirazione, chiamata “respiro circolare”. Questa tecnica si esegue inspirando con il naso e contemporaneamente espirando dalla bocca muovendo le guance e la lingua. Un esperto suonatore di Didjeridoo è in grado, con questa tecnica, di riempire al massimo i polmoni, riuscendo a prolungare il suono a suo piacimento.

giovedì 19 giugno 2014

Lucky seven, il ballo della socializzazione


E' il ballo della socializzazione, il ballo che aiuta a incontrarsi e conoscersi. Si chiama Lucky seven ma è anche nota come ball è una danza popolare del Galles diffusa anche in Scozia e citata anche nello "Scottish Ceilidh Dancing” (Danze Céilì Scozzesi) di David e May Ewarth.

Le ceilidh dance sono le danze celtiche popolari tipiche della Scozia, quelle che si danzavano in occasione delle feste del clan nelle quali si raccontavano storie, si cantava, si declamavano poesie, si mangiava e si ballava. Possono essere assimilate alle nostre “veglie” contadine ed erano momenti di incontro e di socializzazione ancora negli anni 50, quando si tenevano frequentemente feste a ballo il venerdì e il sabato sera

Si caratterizzano per la brevità delle sequenze (solitamente 16 battute) e la loro ripetitività così da poterle ballare con differenti partner.

“Lucky Seven” (fortunato il sette) è un ballo di coppia in disposizione circolare con cambio di partner a ogni ripetizione della danza; le notizie storiche sono molto scarse e probabilmente è un mixer molto recente.

mercoledì 18 giugno 2014

La diablada, fascino e mistero in Sud America

E' una delle danze folcloristiche di ispirazione religiosa più colorate e originali della Bolivia. La diablada, che prende il nome da diavolo simbolo della danza stessa, ripete coreografie e cantici ancestrali. È nata durante il periodo di colonizzazione spagnola, come una rappresentazione della lotta tra il bene e il male. Nel diciottesimo secolo, i minatori di Oruro decisero: da una parte di dichiarare la Virgen de la Candelaria come Madre protettrice dei lavoratori e dall’altra parte decisero di danzare come diavoli, per non provocare l'ira del Tio della miniera, essere soprannaturale, considerato proprietario dei metalli che può fornire ricchezze o morte all’interno della miniera.
La danza della diablada suggerisce un mondo profondamente legato con il culto del male, il dio andino Supay, da Huari dio della montagna, e il diavolo della liturgia cattolica. La diablada riflette il sincretismo religioso attraverso sontuose forme e colori, che nel corso del tempo ha guadagnato popolarità.

La diablada si balla in Bolivia ma anche in Cile e Perù. Nel 2001 è stata dichiarata patrimonio Unesco.

martedì 17 giugno 2014

La Ranchera messicana, icona della musica popolare

Impazza la febbre da Mondiale ma il calcio ci offre l'occasione per conoscere meglio i paesi partecipanti e il “pretesto” per scoprire le loro tradizioni e la loro cultura. Dopo la Capoeira brasialina, parliamo della Ranchera messicana.
Si tratta di un genere musicale popolare della musica messicana. Sottogeneri sono: il huapango, il bolero ranchero, il corrido.
Il ritmo può essere in 3/4, 2/4 o 4/4, riflettendo rispettivamente i ritmi di valzer, polka e bolero. Le canzoni solitamente consistono in: introduzione strumentale, strofa e ritornello; sezione strumentale che ripete la strofa, un'altra strofa, ritornello e una chiusura.
Le sue origini risalgono al XIX secolo, ma si sviluppò nel teatro nazionalista del periodo post-rivoluzionario del 1910 e divenne un'icona dell'espressione popolare del Messico, un simbolo del paese, che si diffuse con grande successo in vari paesi latinoamericani, specialmente grazie al cinema messicano degli anni quaranta, cinquanta e sessanta.
I cantanti professionisti di questo genere sviluppano uno stile estremamente emozionale, una delle cui caratteristiche consiste nel sostenere molto a lungo una nota alla fine di una strofa o di un verso.
Per quanto riguarda i testi, predominarono all'inizio le storie popolari relative alla rivoluzione messicana, la vita contadina, i cavalli, la famiglia, i bar e le cantine e le tragedie amorose, per focalizzarsi maggiormente in seguito su storie d'amore.
Tra i più famosi compositori di ranchera troviamo Cuco Sánchez, Antonio Aguilar e José Alfredo Jiménez, il cantautore più prolifico, che ha composto molti dei pezzi più noti e un totale di oltre mille canzoni.

lunedì 16 giugno 2014

In Cina l'arte di trasformare la carta in...ricami

Il ritaglio della carta è un'arte visiva dell'artigianato cinese molto caratteristica. Ebbe origine nel sesto secolo quando le donne la usavano nei templi per incollare sui loro capelli ritagli di fogli d'oro e d'argento e gli uomini nei rituali sacri. Più tardi vennero usati durante le celebrazioni per decorare porte e finestre. Dopo centinaia di anni di evoluzione, ora hanno acquisito significati molto popolari di decorazione tra la popolazione rurale, specialmente femminile.
I principali arnesi da ritaglio sono semplici: carta e forbici o un coltello da incisione.
Quando si osservano oggetti fatti accuratamente in questo modo, ci si sorprende per la realistica espressione vitale dei sentimenti e delle sembianze delle forme, o per la rappresentazione di piante naturali e di animali in diverse espressioni gestuali. Esempi di crisantemi che espongono petali che si arricciano o esempi di una figlia sposata che ritorna alla casa dei suoi genitori.
Sebbene anche altre forme d'arte, come la pittura, possono mostrare scene simili, i ritagli di carta cinesi si distinguono ancora per il loro fascino. Per rendere le scene tridimensionali e farle risaltare visivamente dalla carta, dato che sono di solito monocromatiche, i “ritagliatori” devono cancellare le parti secondarie e comporre il corpo principale in maniera appropriata, in modo astratto e ardito.
E' facile imparare a ritagliare un pezzo di carta ma è molto difficile padroneggiarlo alla perfezione. Bisogna afferrare il coltello perpendicolarmente e premere in modo uniforme sulla carta con un po' di forza. E' richiesta flessibilità ma ogni esitazione o movimento inconsulto porterà a imprecisioni o rovinerà l'intera imagine.
I “ritagliatori” accentuano le linee di taglio secondo diversi stili, ce ne sono quattro ideali ma essenziali che si sforzano di perfezionare. Loro cercano di intagliare la luna come un cerchio, un gambo di grano come una linea dritta. Le persone trovano speranza e conforto nell'esprimere i desideri con i ritagli di carta. Per esempio per una cerimonia di matrimonio, ritagli di carta rossi sono decorazioni tradizionali e richieste sul servizio da te', sui bicchieri della toilette e sui mobili. Un grosso carattere di carta rosso “XI” (felicità) è d'obbligo sulle porte delle persone appena sposate.
Durante le feste di compleanno delle persone più anziane, il carattere “Shou” rappresenta longevità e delizierà l'intera cerimonia, mentre un modello di bambini paffuti che stringono un pesce significa che ogni anno avranno abbondanti ricchezze.


domenica 15 giugno 2014

Fascino e mistero della Tagelmust

La Tagelmust è il tradizionale copricapo delle popolazioni nomadi del Sahara, soprattutto i Tuaregh. E' formata da una lunga striscia in cotone – tra i 3 e gli 8 metri – che i Tuaregh portano avvolta sul capo e attorno al viso.
Questa specie di turbante funge da riparo contro i raggi violenti del sole del deserto e le correnti di sabbia trasportante dal vento, ma è anche un importante simbolo di protezione spirituale: i Tuaregh credono infatti che la Tagelmust debba coprire la bocca per evitare che gli spiriti maligni che abitino il deserto possano utilizzarla come via d'accesso all'anima umana; per questo motivo anche durante i pasti è proibito scoprire la bocca.
La Tagelmust tradizionale è di color Indaco, e il processo di tintura del cotone avviene ancora manualmente. Data purtroppo la scarsità d'acqua spesso il cotone è tinto con polveri a secco, che nel tempo però perdono aderenza con il tessuto, trasferendosi sulla pelle  – motivo per il quale i Tuaregh sono conosciuti anche come “gli uomini blu”. Sempre a causa della poca quantità d'acqua a disposizione dei popoli nomadi del deserto, spesso il cotone viene lasciato “naturale”, e così si possono avere Tagelmust di vari colori, anche se l'Indaco, ritenuto un colore dalle particolari proprietà virtuose, è il colore utilizzato nelle cerimonie più importanti, soprattutto religiose.
Particolare interesse è rivolto alle Tagelmust Indaco dal tono più scuro o intenso, poiché denotano le possibilità economiche di chi la indossa.
Questo “indumento” è riservato agli uomini Tuaregh adulti, che la possono togliere solo in presenza di familiari molto stretti, mentre le donne possono avere il viso scoperto, invertendo completamente l'ordine religioso del resto delle popolazioni islamiche.
La Tagelmust ha moltissimi significati sociali, legati soprattutto al modo di avvolgerla e piegarla sul capo, diversa a seconda del clan, del ruolo che vi si ricopre o addirittura della regione di origine. 

sabato 14 giugno 2014

Hara, la tradizione Maori resa famosa dal rugby

La Hara è la danza tipica dell'etnia neozelandese dei Maori, adottata per la sua originale intensità come “grido di battaglia” dalla nazionale di rugby degli All Blacks è divenuta simbolo dell'identità di un'etnia.
La Haka, erroneamente indicata come danza di guerra è in realtà l'espressione disciplinata ma emozionante ed emozionale che, chi la esegue, utilizza per esprimere il proprio stato d'animo, sia esso positivo o negativo durante riti, feste o celebrazioni.
“Haka” significa infatti “accendere il respiro”, da HA (soffio) e KA (infiammare), ed è  una danza tesa ad impressionare, o comunque comunicare in modo incisivo e forte la propria aggressività. La lingua fuori, i denti serrati, gli occhi spalancati o i colpi al petto e sugli avambracci, sono tutti simboli di potenza e coraggio che si ricollegano allo spirito guerriero dei Maori.
La leggenda riguardante la nascita di questa danza  racconta di un importante e ricco capo Maori, che per sfuggire a feroci assassini si nascose nel pozzo di un piccolo villaggio e con l'aiuto di una giovane coppia  fece perdere le sue tracce. La coppia al principio tentò di convincere gli assassini che l'uomo non si trovava lì, e in quel momento questi, dal pozzo, sussurrava tra sé – in lingua Maori -  “Ka Mate, Ka Mate” (io muoio, io muoio); quando invece sentì che si erano allontanati urlò di gioia “Ka Ora, Ka Ora” (io vivo, io vivo).
Resa celebre dalla più popolare versione della nazionale di rugby All Blacks, la Haka si suddivide in realtà in tre diversi stili :
La Kamate: propria degli All Blacks e ripetuta sempre dopo gli inni nazionali per intimorire gli avversari, è un tipo di Haka molto corto, che non prevede l'uso di armi.
La “Peruperu”: tipica danza di guerra, in cui vengono usate anche le armi, è caratterizzata da un gran salto a gambe piegate alla fine della danza.
Kapa” o  “Pango”: voluta dagli All Blacks per le occasioni speciali, è stata creata con un gruppo di esperti delle tradizioni dei Maori, ed è stata voluta per completare la “Ka Mate”. Fa esplicitamente riferimento agli All Blacks, quando parla di “guerrieri in nero con la felce argentata”, ed è considerata più aggressiva, con più accenni di sfida verso gli avversari.
Il tono della danza nel rugby è sempre aggressivo, feroce, e la guida del gruppo è affidata al membro più anziano della squadra.
L' Haka venne usata per la prima volta in ambito sportivo durante il primo torneo estero della squadra neozelandese di rugby nel 1888, ma in quella versione i giocatori erano coperti da un mantello bianco, che lanciavano in aria alla fine della danza. La prima volta che la Haka venne utilizzata dalla nazionale di rugby fu invece nel 1905, quando venne coniato il termine “All Blacks”.  

venerdì 13 giugno 2014

La capoeira conquista il pubblico dei Mondiali

La cerimonia inaugurale dei Mondiali di calcio in Brasile ha visto protagonista, tra le diverse espressioni artistiche presenti, la capoeira. L'arte della capoeira (una danza mista a lotta) è una delle più alte espressioni folcloristiche ed artistiche del Brasile. Quest'antica lotta di liberazione, deriva da una danza, in Brasile viene praticata da tutti, bambini, donne uomini e la si può vedere per le strade, negli spettacoli e nelle palestre. In tante canzoni popolari e moderne la parola "Capoeira" ricorre ed evocare qualsiasi simbolo di questo grande paese.
La capoeira accompagnò il popolo brasiliano fin dalle sue più antiche origini. Nacque circa quattro secoli fa, (intorno al 1580), e la sua origine è negra, infatti gli schiavi africani bantù, deportati dai colonizzatori portoghesi in Brasile ed inizialmente nell'area di Bahia, portarono con sé i loro rituali e la loro cultura, e tra questi, la "danza della zebra" ed un particolare strumento monocorde, il "Berimbau", diventato ormai un simbolo del Brasile, il cui suono fa vibrare di emozione il cuore di ogni brasiliano e dei "capoeiristas" in particolare.
Questi schiavi africani originari dell'Angola e del Congo, venivano impiegati come mano d'opera in lavori massacranti nelle piantagioni di canna da zucchero; al termine delle loro giornate si riunivano e ripercorrevano con la memoria il loro passato di libertà con i canti, le danze, le musiche ed i rituali: tra questi uno diventò "Capoeira", una particolare forma di autodifesa e di lotta mascherata sotto forma di rituale e mimica.
Molti schiavi in questo modo riuscirono a difendersi dai soprusi e dalle frustate dei coloni europei, ad eliminare i sorveglianti bianchi che li vessavano ed a fuggire nelle foreste dell'interno del Brasile.  

giovedì 12 giugno 2014

Danza orientale, arte unica dai molteplici stili


Una delle più antiche danze al mondo è la danza orientale, originaria del Medio-Oriente e dei paesi arabi. E' eseguita tradizionalmente dalle donne, perché esprime interamente la femminilità, la vitalità e la sensualità. In generale è caratterizzata dalla sinuosità e dalla sensualità dei movimenti. La danza orientale è unica nel suo genere anche se esistono diversi stili, che cambiano a seconda del paese d'origine, come la danza col velo.

Tra i diversi stili si possono ricordare:

Stile danza orientale autentica con danza Hawzi, uno stile caratterizzato da movimenti eleganti, ampi e dolci, la danza viene resa fluida grazie al coinvolgimento armonico del corpo della danzatrice.

Stile Šarqī: inizialmente legato alla tradizione di danze ballate nelle corti islamiche, si evolve nei primi decenni del Novecento. Le interpreti dei cabaret egiziani iniziarono a ricorrere a coreografie e all'utilizzo di strumenti quali il velo, il candelabro e le scarpe col tacco, introducendo inoltre passi derivanti dal balletto classico come l'arabesque e lo chassé.

Stile Baladī: è caratterizzato dalla movenza del bacino carica di intensità. I movimenti delle braccia sono meno ampi e svolazzanti rispetto a quelli dello stile Šarqī. Si prediligono le camminate con il piede a terra e non in mezza punta come nello stile classico. Lo stile Baladī è una danza popolare cittadina che nasce dall'incontro della popolazione rurale con quella urbana.

Stile Ša'abī: è legato alla terra, caratterizzato dalla spontaneità, semplicità e allegria. E' lo stile popolare egiziano. Le danze popolari comprendono repertori zingari (ġawāzī) e delle campagne (fellahī). La variante egiziana è quella interpretata con il bastone, chiamata sayydī.

Stile Danza di Iaset o La Danza del Ventre dell'Egitto Faraonico: questo stile è stato creato nel 1993 in Brasile dall'insegnante di ballo Regina Ferrari come una rappresentazione artistica della danza dell'Antico Egitto, con simbolismo fittizio e immaginario. Non è una danza con finalità esoterica, da essere utilizzata nei riti di magia. Questa danza è composta con i movimenti della danza del ventre arabo, mescolati con i passi del balletto classico e una interpretazione fittizie per ogni movimento. Ci sono diverse coreografie con l'uso di vari veli, fino a nove, che portano la sensazione di mistero, però non c'è nessun legame tra le coreografie create e la vera danza praticata nei riti di magia nell'Antico Egitto.

mercoledì 11 giugno 2014

Sri Lanka, il fascino della danza Kandy

Kandy è la danza ufficiale dello Sri Lanka e risale al tempo dei re di Kandy.  Una leggenda vuole che la danza kandiana sia nata 2500 anni fa, in seguito alla liberazione di un re da un incantesimo.
La tradizione narra che questa danza divenne talmente raffinata che monaci buddisti accettarono che fosse rappresentata nei cortili dei templi.
Oggi è considerata la danza tradizionale. Si balla in quattro versioni e numerosi gesti mimano i movimenti degli animali. Il danzatore è a torso nudo, indossa un'ampia gonna, numerose collane in argento e in avorio, braccialetti e anelli d'argento ai piedi. I danzatori sono accompagnati da musicisti e percussionisti e realizzano piroette e salti.
Originario del sud dell'India, il dramma mascherato include quattro tipi di drammi. Tali danze si svolgono una volta all'anno, durante la notte, e durano da 7 a 10 minuti. Danzatori, percussionisti, cantanti e maestro di cerimonia animano il dramma popolare. Delle maschere nascondono i visi dei danzatori. Il più conosciuto di questi drammi è il kolam, che mette in scena molti personaggi grotteschi e deformati.  


martedì 10 giugno 2014

Arte aborigena e spiritualità, una mostra di Richard J. Campbell


Focus sull'arte e la spiritualità aborigena ad Orvieto. Entra, infatti, nel vivo la nona edizione del Festival di Arte e Fede. Dopo l’inaugurazione de “La Moisson Mistique - La raccolta Mistica” dell’artista Marie Dominique Miserez, è in programma per stasera, martedì 10 giugno alle 19 a Palazzo dei Sette di Orvieto, il taglio del nastro di un’altra mostra, questa volta dedicata alla spiritualità aborigena. L’artista è Richard J Campbell, uno dei più noti in Australia, che nella sua “Stations of the cross” testimonia come, appunto, la spiritualità aborigena possa esprimersi e completarsi attraverso quella cristiana.

 All'inaugurazione della mostra, che resterà aperta fino al 18 Giugno nella sede di Palazzo dei Sette, prenderà parte S.E. John McCarthy dell'Ambasciata d'Australia presso la Santa Sede.

“L'arte aborigena australiana è la più antica tradizione artistica del mondo - spiega il direttore del Festival Alessandro Lardani - da sempre, espressione culturale e spirituale che riflette la diversità delle tribù, delle lingue e dei paesaggi. Si tratta di un'antica forma di arte che si è riscoperta dopo il 1970, ed è divenuta un movimento artistico unico del XX secolo. Molti aborigeni sono cristiani, e come Campbell sono in grado di integrare, nella loro arte, le tradizioni indigene con quelle cristiane”.

“Questa mostra - prosegue Lardani - testimonia proprio come la spiritualità aborigena possa esprimersi e completarsi attraverso quella cristiana. Ad esempio il Cenacolo di Campbell rispecchia il Corroboree australiano, un raduno sacro dei leader di una tribù indigena in cui si prendono decisioni importanti, anche in situazioni difficili di colonizzazione. Ecco la connessione spirituale della pittura: l’angoscia di Cristo si incarna nelle continue sofferenze dell’oggi”.

“Abbiamo tutti una connessione spirituale, noi siamo tutti fratelli e sorelle, con gli animali, gli alberi, i fiumi e le rocce ... siamo tutti uno in Dio” afferma Campbell.

domenica 8 giugno 2014

L'antica tradizione del caffè turco

La nascita del caffè come bevanda presenta origini oscure. Secondo un' antichissima leggenda, un pastorello africano, mentre pascolava le sue pecore, vide che il suo gregge era diventato improvvisamente più energico del solito; scoprì che la fonte di tanta energia erano stati i chicchi di una pianta sconosciuta, che volle provare lui stesso.
Colpito dall'effetto miracoloso provocato dai chicchi misteriosi, li fece provare a molte persone del suo villaggio, ma non tutti accettarono la nuova scoperta con entusiasmo; così ci fu qualcuno che, temendo di rimanere vittima di un maleficio, li gettò nel fuoco salvo poi, riprenderli, gettarli nell'acqua e creare il primo caffè della storia.
Il passo dalla leggenda alla realtà diventa più difficile. Si è certi però che il caffè fosse presente nel medioriente. A Costantinopoli nel 1554 viene aperta una prima bottega del caffè, in seguito ebbe una larga diffusione anche in Siria, in Palestina, in Egitto. In Europa le prime botteghe di caffè comparvero nel 1600 e nel 1700 apre a Venezia il mitico Caffè Florian, ritrovo di intellettuali ed artisti.
In seguito le preziose piantine di caffè furono esportate in Sudamerica e in tutto il mondo. I turchi dicono del caffè: “Deve essere nero come l'inferno, forte come la morte e dolce come l'amore”.
La tradizione del caffè turco è unica per via del suo processo di preparazione. La polvere di caffè viene macinata in modo che sia finissima; poi la si fa bollire dentro l'ibrik, un piccolo bricco d'ottone insieme con acqua, zucchero e, in base alle diverse tradizioni, con spezie. Questa miscela viene fatta bollire e sbollire tre volte prima di essere versata in una tazzina rigorosamente di porcellana avvolta da un guscio d'ottone. Il caffè così ottenuto deve riposare almeno un paio di minuti prima di essere bevuto per fare in modo che la polvere si depositi sul fondo della tazzina. Nei bar turchi non è difficile incontrare qualcuno che abbia voglia di “leggere” i fondi del caffè, capovolgendo la tazzina e indagando passato e futuro nei residui lasciati sul piattino.
Altre informazioni su locali e caffè anche sul nuovo portale ufficiale di Istanbul: howtoistanbul.com

sabato 7 giugno 2014

In Thailandia la musica che non segue le note

Esiste una musica al mondo che non segue nessuna nota ma è il musicista a creare la melodia. Chi vuole imparare a suonare, come nella danza, deve seguire i movimenti del maestro. Si tratta della musica tradizionale thailandese o musica thai. Gli strumenti caratteristici sono il vot (una siringa fatta di canne di bambù), il pin (una specie di chitarra), il nonglang (una specie di xilofono di legno) e il khaen (una specie di armonica di canne di bambù).
Il gruppo tradizionale o piphat band è normalmente formato dai cinque ai venticinque musicisti.
La musica thai è piuttosto complessa: spesso funge da accompagnamento alle rappresentazioni teatrali. Presenta diverse analogie con la tradizione musicale occidentale e con quella cambogiana.

venerdì 6 giugno 2014

L'arte tessile del Mali, la tecnica del bogolan

Una grande farfalla nell'area nord-occidentale dell’Africa. Il Mali è un mosaico di popoli, culture e tradizioni. In questo territorio convivono numerosi gruppi etnici dai Bambara ai Malinkè, dai Tuareg ai Mauri, dai Bobo ai Mossi, dai Fulbe ai Shongai. Una diversità etnica e geografica che riflette la variegata cultura.
Tra le tipicità va certamente segnalata l’arte di tingere i tessuti. I tessuti, presso le popolazioni del Mali, rivestono una grande importanza nella società, sia come manifestazione visibile dello status sociale di chi lo porta, sia come elemento propiziatorio e rituale in numerosi momenti della vita dell'individuo.
Tra le tecniche di tintura c'è il bogolan è un procedimento antico proprio delle popolazioni Bambara, Malinké, Sénoufo, Bobo e Dogon. Il significato del termine “bogolan” è "il risultato che porta l’argilla” e in effetti le decorazioni sono ottenute utilizzando il fango applicato sul tessuto
I bogolan sono strette strisce di stoffa, tradizionalmente di cotone, la cui filatura è eseguita dalle donne che, sedute a terra, tirano, torcono e avvolgono con gesti antichissimi il filo intorno a un fuso, mentre la tessitura è affidata esclusivamente agli uomini.
Il procedimento di decorazione avviene in più fasi successive. La stoffa dapprima viene lavata in acqua, asciugata al sole, e tinta di giallo con un’infusione, preparata con foglie di Anogeissus leiocarpus e Combretum glutinosum. Viene poi realizzato il disegno, utilizzando un bastoncino e il fango nero di pozzo, raccolto un anno prima e fermentato in una giara. Possono essere fatti successivi bagni nella tinta gialla e applicazioni di fango, in base alla tinta bruna che si vuole ottenere. In questo modo si ottengono segni gialli su fondo marrone.
Con l′applicazione sui segni di una soluzione di arachidi, soda caustica, crusca di miglio e acqua, il giallo si muta in marrone, e solo dopo una settimana di asciugatura al sole e un ulteriore lavaggio, emerge un disegno bianco su fondo scuro.
Il bogolan riveste una grande importanza nella società. Per gli uomini è legato alla caccia e costituisce una protezione contro le energie negative sprigionate dall'animale ucciso. Le donne vestono il loro primo bogolan in occasione del passaggio all'età adulta e lo portano in tutte le fasi successive della vita. La decorazione costituisce un vero e proprio testo, il cui significato è accessibile solo a chi abbia seguito un'opportuna iniziazione. Un universo di simboli si dispiega sul bogolan: non solo luoghi, persone e animali vi sono rappresentati, ma anche idee astratte e religiose.
https://www.youtube.com/watch?v=4OOaWexD2Jg
Per avere un panorama completo dell’arte tessile maliana si può visitare a Bamako il Musée National, il più interessante dell’Africa occidentale. 

SOLIDARITE' NORD-SUD PRESENTA I TESSUTI DEL MALI-desktop.m4v

giovedì 5 giugno 2014

Ecuador, una terra dai mille volti con unico e forte amore per la conoscenza

L'Ecuador è un territorio straordinario, somma di culture e tradizioni diverse, ecosistemi ed etnie. In esso convivono, infatti, popolazioni di origine indigena, meticcia e afro-discendente. In esso troviamo la costa, le Ande, la foresta amazzonica e, e le isole Galapagos. Questa sua peculiarità ne fa un Paese unico e tutto da scoprire. Per conoscerlo meglio è in corso una mostra al Castello D'Albertis di Genova, aperta fino al 6 luglio, che, dopo aver presentato le diversità naturali e umane dell'Ecuador, offre un approfondimento sulle espressioni culturali dell'archeologia di questo territorio. "Ecuador al Mundo: un viaje por su historia ancestral", questo il titolo dell'esposizione, evidenza come dal periodo pre-ceramico all'impero Inca l'elemento comune a tutti i gruppi sia stato lo scambio di conoscenza in rapporto all'uso delle materie prime. La mostra si conclude evidenziando il ruolo del patrimonio culturale nella definizione dell'identità interculturale e plurietnica e come il recupero dei beni e dei saperi faccia parte esso stesso dell'identità dell'Ecuador. Tra gli eventi collaterali alla mostra, va segnalato il laboratorio gratuito di musica e cultura afromestiza ecuadoriana del gruppo di musica e danza "Afromestizio Candente". L'appuntamento è per il 12 giugno alle 17 sempre presso il Castello D'Albertis di Genova.
Il Museo delle Culture del Mondo di Castello D’Albertis offre un percorso nella dimora del Capitano Enrico Alberto D’Albertis, suo ideatore.  Viaggiando per mare e per terra tra ‘800 e ‘900, il Capitano ha racchiuso nella sua dimora il suo mondo in una cornice romantica a cavallo tra “camere delle meraviglie” e trofei coloniali.  Il suo castello testimonia il fascino che i mondi lontani da lui visitati hanno esercitato sul suo spirito, impregnato di “genovesità” e amore per il mare e di altrettanta curiosità verso l’ignoto e l’intentato. Ma non solo: con l’ingresso nel bastione cinquecentesco, su cui è stato costruito il castello, si apre un secondo percorso di visita nel quale il materiale archeologico ed etnografico viene svelato attraverso il dialogo e lo scambio con le popolazioni da cui proviene, per dar voce a prospettive multiple e relativizzare le nostre certezze.  Castello D’Albertis non è solo la casa del Capitano D’Albertis, ma la nostra stessa casa, la casa delle nostre pulsioni e fascinazioni, delle nostre paure ed esplorazioni, delle domande che segnano il nostro rapporto con il mondo.
http://www.museidigenova.it/spip.php?rubrique25