Toledo è famosa per le spade e le
croci, due tratti caratteristici che spesso sono riconducibili alla
vera essenza spagnola: le prime sono da ricondurre ai periodi delle
battaglie e delle guerre, quando la Spagna era territorio dei mori.
Le seconde, invece, sono legate all'indissolubile legame che c'è tra
questa nazione e la religione. Toledo ben incarna questi due aspetti:
vanta infatti una storia legata alla produzione dell'acciaio, in
particolar modo delle spade, le cui tecniche per riprodurle sono da
ricondurre alla Persia e sono state importate dagli arabi. Ancora
oggi questa bella città situata nel cuore della Spagna, appartenente
all'antico Regno di Castilla, oggi facente parte della Comunità
Autonoma di Catilla-La Mancha, vanta un'enorme produzione di coltelli
e altri oggetti di acciaio. Accanto a questo lato, Toledo, come del
resto tutte le principali città spagnole, è una terra intrisa
di religione, misticismo e fede: l'arcidiocesi di questa città è la
più importante di tutto il Paese ed è sede primaziale, il che
significa che l'arcivescovo di Toledo porta il titolo di Primate di
Spagna.
domenica 20 luglio 2014
giovedì 17 luglio 2014
In Ghana il Bakatue festival tra riti e miti
Il Bakatue festival è una delle
manifestazioni tradizionali del Ghana, si svolge a luglio e segna
l'inizio della stagione di pesca in Elmina. Il nome Bakatue è
ottenuto dal dialetto Fante che si traduce come drenaggio
di una laguna. La celebrazione della festa fu istituita per
commemorare la fondazione di Elmina da parte dei portoghesi.
Si svolge il primo lunedì e martedì
di luglio. In particolare, il martedì è stato scelto in quanto è
considerato localmente come il giorno del dio del mare. Durante il
festival, il capo della Paramount, suoi sottocapi e l'intero stato di
Elmina offrono cibo per la festa sacra: uova e purè di patate miscelato con olio di palma a Nana Brenya, il dio del fiume, e
pregano per la pace. La mattina della festa, tutti i membri della
famiglia reale Elmina partecipano alla processione. Dopo il sommo
sacerdote lancia la sua rete tre volte nel Brenya. Viene dichiarato
cessato il divieto di pesca e le donne sfilano sulla laguna
in Kente stoffa e copricapi per le cerimonie locali. Un
corteo reale che conduce al palazzo del capo tra musica tradizionale
conclude la festa. Tutto il pesce che è pescato dalle reti,
durante la cerimonia, viene offerto agli dei come simbolo per
ringraziarli per il raccolto.
martedì 15 luglio 2014
Guyana, qui il carnevale dura due mesi
Lo spirito della festa è onnipresente
con la tradizione dei balli in costume animati
dai Touloulous nel periodo del carnevale.
Il Carnevale della Guyana si distingue dagli altri per la sua lunghezza (1 - 2 mesi secondo il calendario) e per la presenza di un personaggio-chiave : il Touloulou. Si tratta di donne mascherate che animano balli in maschera che si svolgono ogni sabato sera in questo periodo di carnevale. Queste donne sono le "maitresses" di un gioco di ruolo che lascia i cavalieri alla mercè delle loro scelte e dei loro scherzi. Uno spettacolo coloratissimo che si svolge al ritmo molto sensuale di musiche speciali (piké djouk, mazurka…)
Il Carnevale della Guyana si distingue dagli altri per la sua lunghezza (1 - 2 mesi secondo il calendario) e per la presenza di un personaggio-chiave : il Touloulou. Si tratta di donne mascherate che animano balli in maschera che si svolgono ogni sabato sera in questo periodo di carnevale. Queste donne sono le "maitresses" di un gioco di ruolo che lascia i cavalieri alla mercè delle loro scelte e dei loro scherzi. Uno spettacolo coloratissimo che si svolge al ritmo molto sensuale di musiche speciali (piké djouk, mazurka…)
Balli in maschera, sfilate sfavillanti,
danze, costumi tradizionali, carri riccamente decorati sono il pane
quotidiano di questo periodo: ogni sabato sera tutti si ritrovano in
strada a cantare e ballare fino all'alba mentre sono servite
tonnellate di pesce e gamberetti alla creola, oltre ai tipici
dolcetti, le gallette di riso aromatizzate al frangipane, al
cocco o alla guava. Le domeniche, invece, sono destinate alle parate
con i personaggi tipici della Guyana: sfilano la Caroline, una
signora ricca che porta l'oro e protegge le altre donne, i Neg
Marrons, che spargono di nero il pubblico, il Jè farrin
in bianco totale e circondato da bambini, gli zombi, il diavolo e la
morte. Le regine sono le Touloulou, dame molto eleganti, sempre
al centro dei cortei, vestite come nei secoli scorsi: sono camuffate
dalla testa ai piedi perchè non devono essere riconosciute, durante
i balli notturni invitano gli uomini a danzare il piquet al
suono dell'orchestra dal ritmo scatenato e frenetico. Le
ultime due domeniche, poi, sia Cayenne che l'altra città Kourou
ospitano la Grande Parata, mentre una giuria assegna i trofei ai vari
gruppi in base a criteri precisi: costumi, canti, musica e
creatività. Tutto per ricordare e porre l'accento sulle diverse
etnie che vivono in Guyana: dai creoli agli europei, agli amerindi
fino agli asiatici, come i cinesi. Spesso infatti nei cortei non
mancano i famosi draghi che si mescolano a cavalieri e damine: un mix
che rende unico questo Carnevale.
lunedì 14 luglio 2014
Le suggestioni dei tuareg al Trasimeno Blues Festival
Le suggestive atmosfere del Desert Blues sono protagoniste dell’edizione 2014 del Trasimeno Blues Festival. Il Blues che i nomadi Touareg suonano tra le dune del Sahara aprirà il festival con una speciale anteprima che avrà luogo martedì 15 luglio alle 21.30 all’Anfiteatro della Rocca Medievale di Castiglione del Lago. Il leggendario collettivo Touareg dei Tinariwen (dal Tamashek “deserti” o “spazi vuoti”) irrompe sulla scena internazionale grazie ad una suggestiva e coinvolgente commistione della musica tradizionale Touareg con il Blues, il Rock, la Psichedelia e la world music. Il suono amaro di chitarre appuntite si mescola con la poesia lirica, celebrando l’unione sacra tra un popolo e il suo ambiente, riflesso in dolorose circostanze collettive. Il collettivo dei Tinariwen prende forma negli anni ’80 nei campi profughi militarizzati allestiti in Algeria da Gheddafi, dove la loro opposizione militante al governo centrale del Mali li ha spinti a cercare rifugio. A guidare il gruppo è il cantante e chitarrista Ibrahim Ag Alhabib, giovane nomade costretto all’esilio dopo la fucilazione del padre per collaborazionismo con i ribelli antigovernativi.
domenica 13 luglio 2014
Fascino e mistero delle maschere del Burkina Faso
In Burkina Faso ci sono più di 60
gruppi etnici con caratteristiche sociali e culturali diverse, anche
se tutti ci tengono a definirsi burkinabé. I gruppi principali sono
i Bobo, che vivono nella zona della città di Bobo-Dioulasso, i
Fulani, i Lobi e i Sénufo, ma il gruppo nettamente dominante è
costituito dai Mossi. I Mossi discendono da un impero regale e
l'imperatore, o moro-naba, ha un ruolo importante e grande influenza
sociale.
Ogni gruppo etnico ha la propria arte ma le tradizioni artistiche dei Mossi, dei Bobo e dei Lobi sono le più famose. I Mossi sono noti per le loro maschere di antilope incredibilmente alte (più di 2 m) e dipinte di rosso o bianco. Queste maschere vengono indossate durante i funerali e i lavori di raccolta e conservazione di alcuni frutti. Le maschere dei Bobo sono invece a forma di grandi farfalle, dipinte a strisce rosse, bianche e nere, usate per invocare la divinità Do nelle cerimonie della fertilità. I Bobo in realtà dispongono di tantissime maschere dai tratti animaleschi, ma quelle a forma di farfalla sono le uniche indossate da tutti. La tradizione dei Lobi è tra le più vive dell'Africa, compresi i riti d'iniziazione dyoro per i giovani maschi. L'arte dei Lobi è molto rinomata: le incisioni in legno sono simboli a protezione della famiglia.
Ogni gruppo etnico ha la propria arte ma le tradizioni artistiche dei Mossi, dei Bobo e dei Lobi sono le più famose. I Mossi sono noti per le loro maschere di antilope incredibilmente alte (più di 2 m) e dipinte di rosso o bianco. Queste maschere vengono indossate durante i funerali e i lavori di raccolta e conservazione di alcuni frutti. Le maschere dei Bobo sono invece a forma di grandi farfalle, dipinte a strisce rosse, bianche e nere, usate per invocare la divinità Do nelle cerimonie della fertilità. I Bobo in realtà dispongono di tantissime maschere dai tratti animaleschi, ma quelle a forma di farfalla sono le uniche indossate da tutti. La tradizione dei Lobi è tra le più vive dell'Africa, compresi i riti d'iniziazione dyoro per i giovani maschi. L'arte dei Lobi è molto rinomata: le incisioni in legno sono simboli a protezione della famiglia.
venerdì 11 luglio 2014
Masai, una cultura scandita da canto e danza
La popolazione Masai scandisce la vita attraverso canti e danze molto particolari. I masai non hanno strumenti musicali. Il canto è sempre a cappella, senza accompagnamento musicale. Il coro può dare un tono continuo o un’armonia, su questa base il cantante principale – olo-aranyani – canta il tema musicale. La maggioranza delle canzoni masai prevedono un solista che annuncia il tema del canto, ed un coro che risponde in maniera antifonale oppure con un solo vocabolo. Nella musica religiosa, il solista normalmente inneggia a Dio mentre il coro chiede a Dio di venire – ou – con un tono basso, forte e ritmato. Le canzoni accompagnano la danza, normalmente una serie di salti fatti a turno dagli uomini. Le donne muovono il collo in avanti e indietro, emettendo dei suoni che risultano sincopati. Le donne cantano canzoni mentre lavorano, specialmente alla mungitura, all’allattamento, e per lodare i propri figli. I moran cantano lodando i propri meriti, quelli del gruppo di età oppure per far innamorare una ragazza. Le arti grafiche non sono molto sviluppate. I disegni simbolici applicati al viso e al tronco durante alcuni momenti della vita hanno un significato spirituale più che di trasmissione di ideali. Non si fa uso di maschere, mentre il corpo viene modificato con tatuaggi o tagli.
giovedì 10 luglio 2014
Giava e la tradizione del wajang
Il wajang, il teatro di Giava, è
importantissimo per la popolazione che vede nella rappresentazione
teatrale la realizzazione del mondo fantastico dei loro eroi e degli
dei, nei quali si identificano vivendo in prima persona le loro
appassionanti avventure. Il wajang si è mantenuto intatto col
passare dei secoli, e tuttora richiama un numero elevato di
spettatori, sia nelle grandi città che nei piccoli villaggi.
I tipi
di wajang sono molteplici, il più importante è il wajang
kulit(teatro delle ombre): qui gli attori sono burattini particolari,
realizzati in cuoio e sostenuti da una canna di bambù che il
burattinaio muove agevolmente.
mercoledì 9 luglio 2014
La danza del Drago, una tradizione cinese di 5000 anni d'età
La storia della danza cinese vanta una
tradizione di oltre 5000 anni. Nella danza cinese confluiscono
praticamente tutte le arti cinesi (kung fu, taichi, acrobatica, opera
cinese, dramma). Il simbolismo e la ritualità, sedimentati da secoli
e secoli di tradizione, sono forti e presenti nelle danze popolari
come nelle rappresentazioni teatrali dell’opera cinese.
Nella danza del drago, un gruppo di
persone porta il corpo del drago su delle aste. Il corpo del drago
può arrivare ad essere portato da 50 persone, che imitano i
movimenti dello spirito delle acque in modo sinuoso ed ondulato.
Questa danza è tradizionalmente simbolo del ruolo storico del drago,
che impersona la forza e la dignità. Secondo la tradizione, i draghi
sono portatori di buona sorte, di forza e dignità, ma anche di
fertilità, saggezza e fasto. L'apparizione di un drago è
spaventosa e sfrontata, ma allo stesso tempo benevola, per questo
l'animale fantastico viene associato all'autorità imperiale. Il
drago viene spesso definito "sacro", a causa della sua
immagine che incute gran rispetto. Gli imperatori della Cina antica
consideravano sé stessi dei draghi, trasformando quindi l'animale
nell'emblema dell'impero.
La Danza del Drago ha avuto origine
nella dinastia Han (202 a.c.- 220 d.c.), grazie a quei cinesi
che mostravano una particolare venerazione verso l'immagine del
drago. Durante la dinastia Song, la danza era già diventata
popolare e veniva eseguita dalla gente durante le celebrazioni
festive, così come la danza del leone.
Il drago cinese ha avuto
origine come combinazione stilizzata di diversi animali realmente
esistenti in natura, e si è poi evoluto in creatura mitologica
venerata dal popolo. I tratti del drago uniscono le corna del cervo,
le orecchie del toro, gli occhi del coniglio, le fauci
della tigre e le squame del pesce, tutto portato
insieme dal corpo del serpente. Vi era la credenza che il drago fosse
un animale anfibio con l'abilità di camminare sulla terra,
volare in aria e nuotare nel mare, divenendo governatore del tempo
atmosferico nuvoloso e piovoso. La danza del drago è parte
importante della cultura e della tradizione cinese, e si è diffusa
grazie all'emigrazione del popolo cinese nel mondo.
Nelle esibizioni da competizione vigono
severe regole, che riguardano soprattutto la composizione del corpo
del drago e i movimenti della danza. Per lo più, i draghi da
competizione sono costruiti per permettere ai danzatori di poterlo
muovere con velocità ed agilità, e per compiere mosse spettacolari.
La testa è più piccola e leggera, mentre il corpo è costruito in
alluminio tenuto da bastoncini, e la maggior parte dei cerchi che
delimitano le sezioni sono costruiti in pvc sottile. Le esibizioni si
svolgono in un tempo convenzionale di 8-10 minuti, ed il ritmo viene
dato da un set di percussioni. Una doppia danza del drago, raramente
eseguita nelle esibizioni occidentali, comporta la partecipazione di
due corpi di ballo che avvolgono i draghi l'un l'altro. Le esibizioni
più rare sono quelle in cui si intrecciano nove gruppi, per nove
draghi in totale (il cui nome insieme è Kawlung), poiché il
nove viene considerato il numero perfetto.
I passi della danza del drago vengono
studiati appositamente in base all'esperienza ed alle abilità dei
danzatori. Il classico movimento ondulato del drago viene ottenuto
grazie alle mosse coordinate in successione di ogni sezione
cilindrica. Questo è il passo base, mentre tutte le altre mosse
vengono lasciate alla fantasia e alla creatività di ogni corpo di
ballo.
martedì 8 luglio 2014
Tutti i suoni del Mozambico
Nel Mozabico la musica tradizionale è
molto florida: è suonata in ogni luogo della Nazione e risente delle
diverse etnie e delle differenti popolazioni, infatti ogni
popolazione ha le sue particolarità e tradizioni musicali: i Makonde
del nord sono noti per i loro strumenti a fiato, conosciuti come
lupembe; a sud i musicisti chope suonano la marimba, una specie di
xilofono, e sono famosi per le loro orchestre di marimba. La presenza
della marimba nell'area africana fu segnalata almeno cinquecento anni
fa dai primi esploratori; le cronache dell'epoca narrano infatti di
strumenti di legno, costruiti con questa foggia, dai differenti nomi:
balafo, marimba, malimba, manza, mbila, balinga ed altri ancora.
Lo strumento è formato da una serie di
piccole tavole di legno duro, sotto le quali vengono disposte, come
risonatori, zucche essiccate e svuotate o grosse canne di bambù. Le
prime marimba prevedevano l'utilizzo delle gambe del musicista, su
cui era posta trasversalmente una barra di legno, come naturale cassa
di risonanza e supporto. In Africa la marimba viene tradizionalmente
suonata da uno o più suonatori, posti gli uni di fronte agli altri,
con gli strumenti eventualmente appoggiati ad angolo tra di loro. Le
tavole della tastiera vengono percosse con mazzuole leggere di legno
e l'altezza della nota varia per molti fattori: spessore del legno,
lunghezza e larghezza delle barre, gradi di durezza e peso.
Ma è la marrabenta probabilmente la
musica più diffusa nel Mozambico, caratterizzata da uno stile
leggero ispirato ai majika, i tradizionali ritmi rurali. Unisce i
ritmi tradizionali di danza mozambicane con musica popolare
portoghese. Si è stato sviluppata a Maputo , capitale del
Mozambico, tra il 1930 e il 1940 .
domenica 6 luglio 2014
Tutta l'energia dei Taiko' giapponesi
L'O-Daiko, il grande tamburo, riproduce
il battito del cuore, ampliandolo e interpretandolo con una
vibrazione profonda che risuona già nell'aria nel gesto
preparatorio, quasi una danza del musicista che si accinge alla
percussione.
Introdotto in Giappone dalla Cina in
epoca Kamakura (1192-1333), il Taiko divenne parte integrante della
cultura giapponese come strumento per comunicare con gli dei ma anche
per cacciare, per infondere coraggio in battaglia. Nei monasteri
buddisti segna il tempo e ritma la recitazione dei Sutra. Rappresenta
la voce del Buddha che chiama i fedeli ad ascoltare il Dharma.
La leggenda del tamburo giapponese va
indietro nel tempo, quando la terra era governata dagli antichi dei.
Si racconta che un giorno la Dea del Sole si infuriò a causa delle
violenze di suo fratello e si nascose in una grotta. Così la terra
fu avvolta dal buio totale. La vita delle persone divenne più triste
e volendo richiamare il Sole fuori dalla grotta, iniziarono a
danzare, a fare musica, a pregare ed, alla fine, a suonare tamburi di
fronte alla grotta.
La Dea del Sole, incuriosita da ciò
che stava accadendo, guardò fuori. In quel momento le persone la
presero e la tirarono fuori dalla grotta. Immediatamente tornò la
luce e la terra si scaldò.
Da quella volta il Taiko è suonato in
occasione di importanti eventi, celebrazioni dell’estate e feste
popolari.
sabato 5 luglio 2014
Naro Nasial, il festival di Sani nell'India Himalaiana
Il Naro Nasial è una grande
celebrazione che si svolge a Sani (India Himalaiana) ogni anno tra
la fine di luglio e agosto. Viene evocata la presenza di Naropa e le
cerimonie sono arricchite dal Cham, le danze rituali, un momento
molto bello per cogliere la freschezza della gente di Sani, che ha un
trasporto forte e naturale verso i saggi della loro tradizione
religiosa. Per Naro Nasial, ovvero per l’incontro con il grande
maestro Naropa, si aggregano provenendo anche da molti remoti
villaggi dello Zanskar, sfoggiando i propri costumi tradizionali e
creando una piccola folla immersa in un momento di devozione comune
ma anche in commerci e in un’allegra convivialità.
Il Naro Nasial richiede una lunga
preparazione da parte dei monaci di Sani, che sono discepoli in linea
di trasmissione orale del maestro Naropa, i quali eseguono nei giorni
precedenti cerimonie religiose, con l’uso di strumenti tradizionali
e canti dai toni bassi. Il giorno antecedente l’apertura del tempio
di Naropa vengono eseguite diverse danze in costume, tra cui la danza
dei cappelli neri (Sha-Na Cham) e dei tamburi (Sha-Na Nga Cham), per
purificare in modo adeguato il luogo. Nel secondo giorno al mattino
alcuni monaci siedono di fronte al tempietto di Naropa recitando
preghiere in onore del maestro e nel cortile antistante il tempio
(sul lato opposto) continuano con le danze. Tradizionalmente il Naro
Nasial non prevedeva la parte del Cham (danze rituali), queste furono
introdotte verso la metà del secolo scorso su richiesta della gente
del villaggio; la danza delle otto manifestazioni di Guru Rimpoce
(Guru Tshen Gye) che si svolge nel secondo giorno è stata l’ultima
ad essere introdotta e infatti le maschere utilizzate sono
particolarmente naif e di evidente fabbricazione recente.
venerdì 4 luglio 2014
In Bhutan il fascino dei Cham
Le rappresentazioni Cham del Bhutan
sono diventate giustamente celebri nel mondo; ognuna ha
caratteristiche proprie, a volte molto specifiche, dalle formali ed
elaborate celebrazioni dei grandi Dzong agli incontri di tono rurale,
ma sempre nell’ambito di uno stile di conduzione ed esecuzione che
è quello inconfondibilmente di Druk Yul.
Il Cham più noto è lo Tse
Chu di Paro, che presenta un insieme di rituali
completo e ben eseguito: la sua ubicazione nei pressi dell’unico
aeroporto internazionale ha favorito l’afflusso dei visitatori e
una certa notorietà. Oltre a Paro, le massime espressioni di arte e
di contenuto religioso si riscontrano nelle manifestazioni che si
svolgono a Punakha per il Dromche e
al Trashichhoe di Thimpu per lo Tse Chu. Questi
due Dzong sono la sede dell’Abate del Bhutan, il Je Khempo, e del
corpo monastico principale composto da circa 1600 membri da lui
condotto, che utilizza come propria residenza lo Dzong di Punakha nei
mesi invernali per il clima meno rigido di questa valle e lo Dzong di
Thimpu, il Trashichhoe, nei mesi estivi. Essere parte di questo
selezionato gruppo di monaci è un segno di distinzione: vengono
scelti coloro che hanno elevate qualità di apprendimento spirituale.
Nelle rappresentazioni da loro eseguite si percepisce quindi
un’atmosfera molto forte; gli atti rituali vengono svolti con
precisa disciplina e attenzione ad ogni dettaglio, le cerimonie sono
spesso condotte personalmente dall’abate, a volte alla presenza del
re del Bhutan, e sono arricchite dall’utilizzo di costumi e
maschere particolarmente belli.
giovedì 3 luglio 2014
In Mongolia la festa di Naadam tra sport e folklore
Mancano pochi giorni in Mongolia alla
festa di Naadam, una manifestazione, per lo più, sportiva (in due
giorni di svolgono competizioni di otta, tiro con l’arco e corsa
dei cavalli) ma è molto “coreografica” ed è preceduta da una
cerimonia sfarzosa.
La moderna festa di Naadam nasce nel
1921 per celebrare l'indipendenza della Mongolia. Per due giorni ogni
anno, l'11 e 12 luglio, allo Stadio Centrale di Ulaan Baatar davanti
a decine di migliaia di composti spettatori si svolgono le
competizioni, precedute da una sfarzosa cerimonia a cui prende parte
anche il Presidente della Repubblica. Anticamente nel calendario le
ricorrenze più note erano la festa della luna bianca, quando si
aspergeva dell’airag, il latte di giumenta fermentato, e
quella d’estate quando si teneva il grande Quritai, la
riunione di tutti i più grandi guerrieri.
mercoledì 2 luglio 2014
La Chacarera, una magia tutta argentina
La chacarera è una danza
folklorica tipica della zona Nord dell'Argentina. Nella sua versione
più tradizionale viene suonata
utilizzando chitarra, tamburo e violino, negli
ultimi anni si è diffuso anche l'uso di altri strumenti musicali.
La base musicale che accompagna questo
ballo può essere o esclusivamente strumentale oppure accompagnata da
canti. La lingua di questi canti è lo spagnolo o il Quechua
santiagueño, un dialetto tipico della provincia di Santiago del
Estero.
Il ballo avviene in coppia però la
coreografia si svolge all'interno di un gruppo di altri ballerini.
Non essendoci delle fonti esatte che
permettono di definire le sue origini, la leggenda racconta che
questo ballo ebbe origine nella provincia di Santiago del
Estero, nella parte Nord Ovest dell’Argentina.
Il nome di questo ballo deriva dal
vocabolo “chacarero”, ossia lavoratore della fattoria, perchè
generalmente si ballava nelle zone di campagna, anche se
lentamente riuscì a penetrare anche nelle città.
Agli inizi del XIX secolo la chacarera
arrivò a Buenos Aires, però per la sua caratteristica di musica
legata strettamente alle tradizioni argentine si scontrò con le
culture delle diverse etnie presenti nella città, frutto della
massiccia immigrazione che dalla metà del secolo aveva inondato le
coste del Rio de la Plata. Questa Babele di lingue, di suoni, di
colori e tradizioni aveva già innescato un processo di fusione che
era riuscito a filtrare attraverso le varie differenti culture una
musica ed un ballo che rappresentava tutti: il tango.
Per questo motivo la chacarera non
riuscì ad attecchire nella capitale argentina, ma si propagò con
grande prosperità in altre zone, dove l’ondata migratoria si era
stemperata con le popolazioni native.
Negli anni sessanta la musica, e
conseguentemente il ballo della chacarera, aumentò la sua diffusione
grazie a musicisti, quali Los Chalchaleros, Los Tucu Tucu, Los
Carabajal, che seppero nobilitare il genere, portandolo al di fuori
dalle esecuzioni improvvisate o dilettantistiche, ed offrendo delle
interpretazioni di brani tradizionali altamente professionali. La
magia di questa musica fece il resto.
martedì 1 luglio 2014
Cuba e il fascino della Festa del Fuoco
Festa del Fuoco si tiene a luglio a Santiago de Cuba per
commemorare l'arrivo dell'estate. Nelle parrandas e charangas si
balla il changui, una musica e un ballo popolare delle feste
contadine della provincia di Guantanamo. Changui
è
uno stile di musica nata nel 19esimo secolo nella regione orientale
della provincia di Guantanamo, in particolare Baracoa. Combina la struttura e
gli elementi di canción
s ' spagnoli
con ritmi africani e strumenti a percussione di origine Bantu.
Tornando
alla Festa del Fuoco, la kermesse è molto simile al carnevale visto
che anche in questa occasione si tengono parate con carri allegorici. La manifestazione quest'anno si terrà dal 3 al 9 luglio.
lunedì 30 giugno 2014
Amsterdam, aspettando il Kwakoe festival
Cresce l'attesa, ad Amsterdam, per il
Kwakoe festival, la festa popolare della comunità africana per le
vie della città. Da tre decenni questa festa colora gli ultimi
giorni di luglio e si svolge nel parco Bijlmer, dove si svolgono
diversi eventi culturali come le danze e degustazione di piatti
tipici. Gli eventi come questi promuovono l'unità fra tutti i gruppi
etnici che compongono il paese.
Quest'anno la manifestazione si
svolgerà dal 12 luglio all'8 agosto. Ogni anno l'evento attira
migliaia di visitatori nei 6 fine settimana sui quali si articola la
kermesse. In programma di musica dal vivo, balli, proiezioni di film,
sport, eventi informativi, dibattiti e molte varietà di cibi
etnici. Un tema diverso viene scelto ogni anno e questo si
riflette nella musica e spettacoli.
domenica 29 giugno 2014
Il balletto nazionale della Georgia, emozioni a passo di danza
Il
Balletto Nazionale della Georgia è uno dei più famosi complessi
coreografici del mondo.
Fondato
a Tbilisi nel 1945 da Nina Ramishvili e Iliko Sukhishvili, persegue
l’intento di far conoscere le antiche danze popolari georgiane, di
creare coreografie nuove ed originali, vivificando un repertorio
antichissimo, di danze liriche e bellicose.
Tre sono gli
aspetti dominanti e inscindibili del Balletto Nazionale della Georgia
che si rinnova e si arricchisce di generazione in generazione e che
riesce ad incantare e stupire.
La prima
componente, austera e guerresca, è quella degli uomini dal gesto
fiero, abili manipolatori di spade e pugnali; la seconda è quella
delle dame dalle bellissime vesti, che scivolano sul palcoscenico con
estrema eleganza e dolcezza; la terza è quella paesana, dei
mattacchioni e degli acrobati. In tutte le coreografie del complesso
si ritrovano, fuse armoniosamente, le basi della danza popolare, dal
girotondo al gomitolo. Le danze maschili evocano le qualità del
coraggio, del vigore guerriero, della baldanza avventurosa. Tutte le
danze di ascendenza bellica, con artistici combattimenti, volteggi di
spade e pugnali sono affidate ai movimenti di brillante e
sorprendente virtuosismo degli uomini: sono loro che strabiliano il
pubblico con gli incredibili salti e le faticosissime danze in punta
di piedi.
Le danze femminili
simboleggiano la sacralità e la regalità. Il movimento delle
ballerine, tutto giocato sulla morbidezza delle braccia e delle mani,
testimonia che nell’immaginario più antico del popolo georgiano la
donna è una creatura algida e distante, inafferrabile.
sabato 28 giugno 2014
Le feria andaluse, esplosione di energia, colori e musica
Le feria andaluse, ricche di colori, musica, danze e
allegria, traggono origine dalle tradizionali feria del bestiame di primavera e
autunno, nate durante il Medioevo. Con gli anni queste feste hanno perso il
significato originario, trasformandosi in eventi sociali a cui si partecipa con
i vestiti tradizionali, con cavalli e calessi. Ogni feria ha la propria
particolarità ma tutte presentano analoghe caratteristiche.
Sebbene abbia conquistato una fama mondiale e venga
imitata da altre grandi feria, come quelle di Cordova, Málaga e Jerez, la
Feria di Siviglia è relativamente recente (1847).
Si accede alla Feria, area recintata, attraverso una
grande porta ornata di lampadine multicolori. L’interno è suddiviso in vari
settori: la cosiddetta Calle del Infierno (inferno), quella del Recreo (svago),
che accoglie le attrazioni tipiche (ruota panoramica, montagne russe, tiro a
segno, tombola), la zona commerciale o Rastro (solo nei villaggi) e infine il
Real della Feria. In quest’ultimo settore trovano collocazione le casetas ,
fragili ed effimere costruzioni in legno e tela adorne di lanterne, dipinti e
mobili più o meno lussuosi, dove si mangia, canta e balla giorno e notte. Ci
sono casetas riservate a comitive private, e casetas pubbliche.
Benché non sembri evidente, specialmente per coloro
che assistono ad una feria per la prima volta, il programma viene stabilito in
anticipo con precisione. Da mezzogiorno fino alle 16 circa, la gente si riunisce
al Real indossando il tipico costume tradizionale. Le casetas si riempiono di
musica e mentre alcuni ballano, altri passeggiano per le vie a piedi, su
splendidi cavalli bardati o in carrozza. Dopo la siesta o la corrida, la festa
è tutta dedicata ai bambini. La sera si cena all’interno della Feria in abiti
più semplici, preparandosi ai festeggiamenti notturni. La settimana della feria
trascorre così, dormendo poco e continuando comunque a lavorare per gran parte
della giornata.
venerdì 27 giugno 2014
Musica turca, armonia di note con la Zurna e i Kasik
In Turchia la musica popolare è molto
diffusa ed amata. La musica, infatti, è considerata uno mezzo di conversazione. Singolari sono gli strumenti che vengono utilizzati. Sin dall'antichità le canzoni dei nomadi, furono accompagnate da strumenti musicali maneggevoli e leggeri da trasportare.
C'è la
Zurna, una specie di piffero e il Davul, una specie di tamburo, che
sono gli strumenti più usati.
Tra gli strumenti a corda c'è lo Saz, una specie di chitarra, il Kemence, una specie di violino.
I Kasik, dei cucchiai di legno, che vengono suonati come le castagnette.
Tra gli strumenti a corda c'è lo Saz, una specie di chitarra, il Kemence, una specie di violino.
I Kasik, dei cucchiai di legno, che vengono suonati come le castagnette.
La musica in passato rappresentò una
forma di potere, così come i Mehter, la cappella musicale del
Sultano.
Con le conquiste degli ottomani, la
musica turca, i ritmi, gli strumenti musicali, divennero conosciuti
in Europa. Lo scambio di cultura portò in Turchia il violino, il
clarinetto e l'armonica a bocca.
mercoledì 25 giugno 2014
Guatemala, aspettando il Rabin Ajau
E' iniziato il conto alla rovescia per il Rabin Ajau, la festa che si tiene dal 21
al 26 luglio a Cobán in Guatemala. L'ultima settimana di luglio
si celebra infatti il festival che vede gli
indios Kekchi indossare i loro colorati costumi.
L'obiettivo principale di questa manifestazione, è lo scambio culturale tra le diverse regioni. I festeggiamenti comprendono un concorso di bellezza per l'elezione e investitura della regina Rabin Ajau (Figlia del Re).
Questo evento ha le sue origini nella prima fiera di Coban organizzata nel mese di agosto 1936, momento in cui Coban ha goduto di grande prosperità economica dovuta principalmente alle esportazioni di caffè.
L'obiettivo principale di questa manifestazione, è lo scambio culturale tra le diverse regioni. I festeggiamenti comprendono un concorso di bellezza per l'elezione e investitura della regina Rabin Ajau (Figlia del Re).
Questo evento ha le sue origini nella prima fiera di Coban organizzata nel mese di agosto 1936, momento in cui Coban ha goduto di grande prosperità economica dovuta principalmente alle esportazioni di caffè.
La bellezza e la tipicità di questa
manifestazione sta nei costumi e nelle danze folcloristiche.
martedì 24 giugno 2014
Yokthe-pwe, teatro delle marionette in Birmania
Una delle espressioni culturali più importanti e conosciute della Birmania è lo Yokthe-pwe, ossia il teatro delle marionette. Sviluppatasi intorno alla metà del XV secolo, questa rappresentazione raggiunge
l’apogeo della popolarità e
dell’importanza nel XVIII secolo quando rivestiva, nella società
birmana, un ruolo di ben altro rilievo rispetto a quello di puro
intrattenimento che avrebbe avuto nelle epoche successive.
Alle marionette, infatti, era demandato dalla corte il ruolo di diffusione delle notizie dalla capitale alle campagne, mentre gli abitanti dei villaggi, a loro volta, incaricavano i manipolatori di sottoporre le loro richieste alla famiglia reale, attraverso i buoni uffici delle marionette. L’importanza di questo scambio, che vedeva al centro i pupazzi, era tale che il re aveva una propria troupe che inviava in tournée nei villaggi e nelle fiere che si tenevano periodicamente presso i templi buddhisti. Inoltre, alle marionette era concesso ciò che non lo era agli esseri umani: ad esempio dare al re cattive notizie (nessuno dei sudditi avrebbe osato, pena la vita). A sua volta il re poteva utilizzarle per rimproverare, in modo indiretto, i membri della sua stessa famiglia.
Le marionette sono grandi, superano spesso il metro di altezza e, a volte, sono alte quanto un uomo. Indossano ricche vesti tradizionali su cui spiccano ricami preziosi e decorazioni dorate. Sono costruite in legno e metallo, realizzate con grande precisione, maestria e cura dei dettagli tale da costituire, il più delle volte quando si tratta di esemplari antichi, autentici capolavori. Il volto è normalmente bianco con lineamenti delicatamente tracciati. Il rosso è invece destinato a caratterizzare il personaggio del buffone.
Nel teatro delle marionette tradizionale i personaggi sono ventisette, suddivisi fra figure che entrano sul palcoscenico da destra, i buoni, e figure che entrano da sinistra, i cattivi. Un’apertura centrale, invece, permette l’ingresso di creature celesti. Fra i personaggi buoni si annoverano il re, il principe, la principessa, i ministri, i nat (spiriti) e gli elefanti. Fra i personaggi cattivi si contano il mago, gli esseri magici, le scimmie, le tigri. A questi, in epoca recente sono stati aggiunti altri personaggi.
Alle marionette, infatti, era demandato dalla corte il ruolo di diffusione delle notizie dalla capitale alle campagne, mentre gli abitanti dei villaggi, a loro volta, incaricavano i manipolatori di sottoporre le loro richieste alla famiglia reale, attraverso i buoni uffici delle marionette. L’importanza di questo scambio, che vedeva al centro i pupazzi, era tale che il re aveva una propria troupe che inviava in tournée nei villaggi e nelle fiere che si tenevano periodicamente presso i templi buddhisti. Inoltre, alle marionette era concesso ciò che non lo era agli esseri umani: ad esempio dare al re cattive notizie (nessuno dei sudditi avrebbe osato, pena la vita). A sua volta il re poteva utilizzarle per rimproverare, in modo indiretto, i membri della sua stessa famiglia.
Le marionette sono grandi, superano spesso il metro di altezza e, a volte, sono alte quanto un uomo. Indossano ricche vesti tradizionali su cui spiccano ricami preziosi e decorazioni dorate. Sono costruite in legno e metallo, realizzate con grande precisione, maestria e cura dei dettagli tale da costituire, il più delle volte quando si tratta di esemplari antichi, autentici capolavori. Il volto è normalmente bianco con lineamenti delicatamente tracciati. Il rosso è invece destinato a caratterizzare il personaggio del buffone.
Nel teatro delle marionette tradizionale i personaggi sono ventisette, suddivisi fra figure che entrano sul palcoscenico da destra, i buoni, e figure che entrano da sinistra, i cattivi. Un’apertura centrale, invece, permette l’ingresso di creature celesti. Fra i personaggi buoni si annoverano il re, il principe, la principessa, i ministri, i nat (spiriti) e gli elefanti. Fra i personaggi cattivi si contano il mago, gli esseri magici, le scimmie, le tigri. A questi, in epoca recente sono stati aggiunti altri personaggi.
domenica 22 giugno 2014
Stonehenge, la magìa della festa d'estate
Per secoli, il solstizio
d’estate ha rappresentato la festa più importante in tutta
l‘Europa. Moltitudini di persone si spostavano per
raggiungere Stonehenge (quest'anno sono stati circa 40mila).
A metà del II sec. a.C. in molti
festeggiavano insieme la notte più lunga dell’anno, immersi
nell’atmosfera magica creata dai megaliti.
Questa notte rappresenta un punto di
svolta, il momento a partire dal quale il sole inizia a splendere
ogni giorno un po‘ meno, fino alla rinascita che avviene con
il solstizio d’inverno. L’antico rituale portava le persone
a riunirsi e conciliava le loro credenze, anche se solo per una
notte. Nell’aria si sentiva la fierezza di ciò che, con grande
forza, realizzarono le generazioni precedenti. Le persone erano molto
legate ai loro riti - la tradizione vuole che saltassero, ballassero
e cantassero intorno ai fuochi della gioia, che in quella notte
bruciavano fino al sorgere del sole. Si suonavano i tamburi,
creando un’atmosfera che stringeva ancor di più il legame con
la madre natura. Queste cerimonie dovevano rafforzare la
fertilità della terra e, il rituale vuole che, durante quella
notte, le persone dovessero cercare il piacere l’una con l’altra.
Al sorgere del sole, i fuochi si
spegnevano e tutti si riunivano intorno al sacro cerchio dei
megaliti. Così si suppone che si svolgesse, un tempo, la festa
del solstizio d’estate.
Stonehenge risale al periodo
neolitico e si trova appunto nella regione del Whiltshire,
nell’Inghilterrameridionale e ancora oggi, in occasione del
solstizio d’estate, raccoglie tantissimi appassionati dell’evento.
La notte del solstizio d’estate è
uno dei pochi periodi all’anno in cui i visitatori possono accedere
direttamente alla zona dei megaliti.
Per molte persone, ancora oggi, è
importantissimo essere presente a Stonehenge in quella notte, come se
questo rito avesse ancora un significato magico.
sabato 21 giugno 2014
'Ori Thaiti, tutto quello che c'è da sapere sulla danza thaitiana
I costumi richiamano gli antichi abiti
per la danza, quando le danzatrici erano avvolte nella tapa,
prodotta con la corteccia ammorbidita dell’albero del pane o
dell’ibisco, decorata con piume colorate, conchiglie e madreperla.
Morbide movenze narrano epiche gesta, amori fra dei, leggende dal
sapore antico. La cultura polinesiana e le sue varie espressioni
convergono nell’Ori Tahiti, la danza tahitiana: il suo ruolo
sociale, religioso e politico al giorno d’oggi ovviamente non è
più forte come nei tempi antichi, ma la danza era e resta un
piacere, un modo di comunicare, un’espressione che permea la vita
degli abitanti di Tahiti e le sue isole.
Si ritiene che esistano almeno 17 tipi di danza prima dell’arrivo degli Europei
I movimenti di base della danza tahitiana sono il pa’oti, per gli uomini, e l’ori, per le donne. Il pa’oti è una sorta di movimento a forbice delle ginocchia, che si aprono e si chiudono mentre i fianchi e i talloni restano immobili e solo le braccia accompagnano il ritmo della musica. Le donne, invece, nell’ori, muovono morbidamente i fianchi, con una movenza che parte dalle ginocchia ma che non deve essere trasmessa al busto, che resta fermo. Le braccia, tese verso l’esterno, ondeggiano flessuosamente.
I diversi tipi di danza tahitiana, tutte create in accordo con i ritmi naturali della vita quotidiana, sono l’ote'a, l’aparima, il pao'a e l’hivinau.
La più nota è, probabilmente, l’ote’a. Nata come rito di guerra, può essere praticata da un gruppo di uomini (‘Ote’a Tane), di sole donne (‘Ote’a Vahine), o uomini e donne insieme(‘Ote’a Amui). L’accompagnamento musicale, fortemente ritmato, è dato da strumenti a percussione.
Un altro genere molto diffuso, e di grande interesse, è l’aparima. Si tratta di una danza molto particolare, una sorta di mimo in cui i ballerini raccontano una storia, in genere ispirata ad azioni di vita quotidiana, a volte anche con accompagnamento di canti. Generalmente viene eseguita stando in ginocchio e con i medesimi strumenti dell’ote’a.
L’hivinau è, invece, una danza che risale all’incontro della popolazione locale con i primi esploratori inglesi. Tanto è vero che il suo nome deriverebbe da “heave now!”, cioè “issa ora!”, il grido con cui i marinai inglesi si incitavano a vicenda cercando di sollevare con l’argano le pesanti ancore dei velieri. In questo ballo uomini e donne si muovono in circolo mentre un danzatore solista lancia delle frasi riprese dal coro.
Infine, il pa’a’oa è una danza che richiama le attività tradizionali dell’arcipelago: la produzione dei tapa, la pesca o la caccia. Uomini e donne siedono a formare un semi-cerchio. Un cantante solista lancia una frase musicale che viene ripresa dal coro. A questo punto una coppia di danzatori si alza ed esegue una breve coreografia, sostenuta dall’incitamento dei ballerini seduti in semi-cerchio.
Si ritiene che esistano almeno 17 tipi di danza prima dell’arrivo degli Europei
I movimenti di base della danza tahitiana sono il pa’oti, per gli uomini, e l’ori, per le donne. Il pa’oti è una sorta di movimento a forbice delle ginocchia, che si aprono e si chiudono mentre i fianchi e i talloni restano immobili e solo le braccia accompagnano il ritmo della musica. Le donne, invece, nell’ori, muovono morbidamente i fianchi, con una movenza che parte dalle ginocchia ma che non deve essere trasmessa al busto, che resta fermo. Le braccia, tese verso l’esterno, ondeggiano flessuosamente.
I diversi tipi di danza tahitiana, tutte create in accordo con i ritmi naturali della vita quotidiana, sono l’ote'a, l’aparima, il pao'a e l’hivinau.
La più nota è, probabilmente, l’ote’a. Nata come rito di guerra, può essere praticata da un gruppo di uomini (‘Ote’a Tane), di sole donne (‘Ote’a Vahine), o uomini e donne insieme(‘Ote’a Amui). L’accompagnamento musicale, fortemente ritmato, è dato da strumenti a percussione.
Un altro genere molto diffuso, e di grande interesse, è l’aparima. Si tratta di una danza molto particolare, una sorta di mimo in cui i ballerini raccontano una storia, in genere ispirata ad azioni di vita quotidiana, a volte anche con accompagnamento di canti. Generalmente viene eseguita stando in ginocchio e con i medesimi strumenti dell’ote’a.
L’hivinau è, invece, una danza che risale all’incontro della popolazione locale con i primi esploratori inglesi. Tanto è vero che il suo nome deriverebbe da “heave now!”, cioè “issa ora!”, il grido con cui i marinai inglesi si incitavano a vicenda cercando di sollevare con l’argano le pesanti ancore dei velieri. In questo ballo uomini e donne si muovono in circolo mentre un danzatore solista lancia delle frasi riprese dal coro.
Infine, il pa’a’oa è una danza che richiama le attività tradizionali dell’arcipelago: la produzione dei tapa, la pesca o la caccia. Uomini e donne siedono a formare un semi-cerchio. Un cantante solista lancia una frase musicale che viene ripresa dal coro. A questo punto una coppia di danzatori si alza ed esegue una breve coreografia, sostenuta dall’incitamento dei ballerini seduti in semi-cerchio.
Balletti, riti, celebrazioni e
coreografie erano sempre accompagnati dai canti tradizionali: il
canto popolare polinesiano si chiama himene e deriva
dalla mescolanza degli inni religiosi dei primi missionari
protestanti con i canti polifonici tahitiani in uso prima del loro
arrivo. Si distinguono l’himene tarava, canto complesso
interpretato da gruppi di almeno 80 persone, e l’himene ruau,
cantato su un tempo lento da un coro misto. L’ute
paripari invece è un canto interpretato su un tema della
vita quotidiana, ritmato da due o tre persone accompagnate da
un’orchestra tradizionale, dove accanto a strumenti come la
chitarra, l’ukulele e l’armonica, si inseriscono gli strumenti
tradizionali polinesiani, quali il To’ere, una sorta di
tamburo tagliato in pezzo di legno, o il fa’atete, composto
da una membrana di pelle di vitello tesa con lacci e chiusure di
legno ad anelli simile a un tamburo.
venerdì 20 giugno 2014
Il Didjeridoo, lo strumento che fa.... comunicare
Il Didjeridoo è lo strumento musicale
tradizionale degli Aborigeni abitanti l'Australia settentrionale.
La datazione delle sue origini non è certa. Gli Aborigeni credono che il didjeridoo gli sia stato donato da un popolo di creature soprannaturali che hanno preso parte alla creazione del loro popolo, durante il “Tempo del Sogno”. Lo scopo di questo strumento era di funzionare da richiamo per permettere ai due popoli di comunicare.
La datazione delle sue origini non è certa. Gli Aborigeni credono che il didjeridoo gli sia stato donato da un popolo di creature soprannaturali che hanno preso parte alla creazione del loro popolo, durante il “Tempo del Sogno”. Lo scopo di questo strumento era di funzionare da richiamo per permettere ai due popoli di comunicare.
Il Didjeridoo si realizza a partire da
tronchi vivi di Eucalipto resi cavi dalle termiti. Il
tronco giusto per realizzare un Didjeridoo si sceglie colpendolo
all'esterno con le nocche: più il suono è “vuoto”, più il
tronco è pronto ad essere utilizzato.
La scelta del tronco giusto è impegnativa per gli artigiani, perché un tronco con una cavità troppo grande o troppo piccola produrrà uno strumento qualitativamente povero.
Una volta trovato il tronco giusto, questo viene sezionato e ne viene scelta la parte migliore, che sarà il Didjeridoo vero e proprio; si toglie la corteccia, si rifiniscono le estremità e a discrezione si decora la parte esterna. Il Didjeridoo è completo una volta ricoperta l'estremità dove poggerà la bocca con cera d'api.
Lo strumento è lungo da 1 a 3 metri, una lunghezza proporzionale a quella delle note che vi si eseguiranno: più lungo sarà il Didjeridoo, più basso sarà il tono delle note.
Si suona facendo vibrare le labbra in continuazione: da questo movimento scaturisce il suono ronzante di fondo, che poi si fonde con una speciale tecnica di respirazione, chiamata “respiro circolare”. Questa tecnica si esegue inspirando con il naso e contemporaneamente espirando dalla bocca muovendo le guance e la lingua. Un esperto suonatore di Didjeridoo è in grado, con questa tecnica, di riempire al massimo i polmoni, riuscendo a prolungare il suono a suo piacimento.
La scelta del tronco giusto è impegnativa per gli artigiani, perché un tronco con una cavità troppo grande o troppo piccola produrrà uno strumento qualitativamente povero.
Una volta trovato il tronco giusto, questo viene sezionato e ne viene scelta la parte migliore, che sarà il Didjeridoo vero e proprio; si toglie la corteccia, si rifiniscono le estremità e a discrezione si decora la parte esterna. Il Didjeridoo è completo una volta ricoperta l'estremità dove poggerà la bocca con cera d'api.
Lo strumento è lungo da 1 a 3 metri, una lunghezza proporzionale a quella delle note che vi si eseguiranno: più lungo sarà il Didjeridoo, più basso sarà il tono delle note.
Si suona facendo vibrare le labbra in continuazione: da questo movimento scaturisce il suono ronzante di fondo, che poi si fonde con una speciale tecnica di respirazione, chiamata “respiro circolare”. Questa tecnica si esegue inspirando con il naso e contemporaneamente espirando dalla bocca muovendo le guance e la lingua. Un esperto suonatore di Didjeridoo è in grado, con questa tecnica, di riempire al massimo i polmoni, riuscendo a prolungare il suono a suo piacimento.
giovedì 19 giugno 2014
Lucky seven, il ballo della socializzazione
E' il ballo della socializzazione, il
ballo che aiuta a incontrarsi e conoscersi. Si chiama Lucky seven ma
è anche nota come ball è una danza popolare del Galles diffusa
anche in Scozia e citata anche nello "Scottish Ceilidh Dancing”
(Danze Céilì Scozzesi) di David e May Ewarth.
Le ceilidh dance
sono le danze celtiche popolari tipiche della Scozia, quelle che si
danzavano in occasione delle feste del clan nelle quali si
raccontavano storie, si cantava, si declamavano poesie, si mangiava e
si ballava. Possono essere assimilate alle nostre “veglie”
contadine ed erano momenti di incontro e di socializzazione ancora
negli anni 50, quando si tenevano frequentemente feste a ballo il
venerdì e il sabato sera
Si caratterizzano per la brevità delle
sequenze (solitamente 16 battute) e la loro ripetitività così da
poterle ballare con differenti partner.
“Lucky Seven” (fortunato il sette)
è un ballo di coppia in disposizione circolare con cambio di partner
a ogni ripetizione della danza; le notizie storiche sono molto scarse
e probabilmente è un mixer molto recente.
mercoledì 18 giugno 2014
La diablada, fascino e mistero in Sud America
E' una delle danze folcloristiche di
ispirazione religiosa più colorate e originali della Bolivia. La diablada, che prende il
nome da diavolo simbolo della danza stessa, ripete coreografie e
cantici ancestrali. È nata durante il periodo di colonizzazione
spagnola, come una rappresentazione della lotta tra il bene e il
male. Nel diciottesimo secolo, i minatori di Oruro decisero:
da una parte di dichiarare la Virgen de la Candelaria come
Madre protettrice dei lavoratori e dall’altra parte decisero di
danzare come diavoli, per non provocare l'ira del Tio della
miniera, essere soprannaturale, considerato proprietario dei metalli
che può fornire ricchezze o morte all’interno della miniera.
La danza della diablada suggerisce
un mondo profondamente legato con il culto del male, il dio
andino Supay, da Huari dio della montagna, e il
diavolo della liturgia cattolica. La diablada riflette il sincretismo
religioso attraverso sontuose forme e colori, che nel corso del tempo
ha guadagnato popolarità.
La diablada si balla in Bolivia ma
anche in Cile e Perù. Nel 2001 è stata dichiarata patrimonio
Unesco.
martedì 17 giugno 2014
La Ranchera messicana, icona della musica popolare
Impazza la febbre da Mondiale ma il
calcio ci offre l'occasione per conoscere meglio i paesi partecipanti
e il “pretesto” per scoprire le loro tradizioni e la loro
cultura. Dopo la Capoeira brasialina, parliamo della Ranchera
messicana.
Si tratta di un genere musicale
popolare della musica messicana. Sottogeneri sono: il huapango,
il bolero ranchero, il corrido.
Il ritmo può essere in 3/4, 2/4 o 4/4,
riflettendo rispettivamente i ritmi di valzer, polka e bolero.
Le canzoni solitamente consistono in: introduzione
strumentale, strofa e ritornello; sezione strumentale
che ripete la strofa, un'altra strofa, ritornello e una chiusura.
Le sue origini risalgono al XIX secolo,
ma si sviluppò nel teatro nazionalista del periodo
post-rivoluzionario del 1910 e divenne un'icona dell'espressione
popolare del Messico, un simbolo del paese, che si diffuse con
grande successo in vari paesi latinoamericani, specialmente grazie al
cinema messicano degli anni quaranta, cinquanta e sessanta.
I cantanti professionisti di questo
genere sviluppano uno stile estremamente emozionale, una delle cui
caratteristiche consiste nel sostenere molto a lungo una nota alla
fine di una strofa o di un verso.
Per quanto riguarda i testi,
predominarono all'inizio le storie popolari relative alla rivoluzione
messicana, la vita contadina, i cavalli, la famiglia, i bar e le
cantine e le tragedie amorose, per focalizzarsi maggiormente in
seguito su storie d'amore.
Tra i più famosi compositori di
ranchera troviamo Cuco Sánchez, Antonio Aguilar e José
Alfredo Jiménez, il cantautore più prolifico, che ha composto molti
dei pezzi più noti e un totale di oltre mille canzoni.
lunedì 16 giugno 2014
In Cina l'arte di trasformare la carta in...ricami
Il ritaglio della carta è un'arte
visiva dell'artigianato cinese molto caratteristica. Ebbe origine nel
sesto secolo quando le donne la usavano nei templi per incollare sui
loro capelli ritagli di fogli d'oro e d'argento e gli uomini nei
rituali sacri. Più tardi vennero usati durante le celebrazioni per
decorare porte e finestre. Dopo centinaia di anni di evoluzione, ora
hanno acquisito significati molto popolari di decorazione tra la
popolazione rurale, specialmente femminile.
I principali arnesi da ritaglio sono semplici: carta e forbici o un coltello da incisione.
I principali arnesi da ritaglio sono semplici: carta e forbici o un coltello da incisione.
Quando si osservano oggetti fatti
accuratamente in questo modo, ci si sorprende per la realistica
espressione vitale dei sentimenti e delle sembianze delle forme, o
per la rappresentazione di piante naturali e di animali in diverse
espressioni gestuali. Esempi di crisantemi che espongono petali che
si arricciano o esempi di una figlia sposata che ritorna alla casa
dei suoi genitori.
Sebbene anche altre forme d'arte, come
la pittura, possono mostrare scene simili, i ritagli di carta cinesi
si distinguono ancora per il loro fascino. Per rendere le scene
tridimensionali e farle risaltare visivamente dalla carta, dato che
sono di solito monocromatiche, i “ritagliatori” devono cancellare
le parti secondarie e comporre il corpo principale in maniera
appropriata, in modo astratto e ardito.
E' facile imparare a ritagliare un pezzo di carta ma è molto difficile padroneggiarlo alla perfezione. Bisogna afferrare il coltello perpendicolarmente e premere in modo uniforme sulla carta con un po' di forza. E' richiesta flessibilità ma ogni esitazione o movimento inconsulto porterà a imprecisioni o rovinerà l'intera imagine.
E' facile imparare a ritagliare un pezzo di carta ma è molto difficile padroneggiarlo alla perfezione. Bisogna afferrare il coltello perpendicolarmente e premere in modo uniforme sulla carta con un po' di forza. E' richiesta flessibilità ma ogni esitazione o movimento inconsulto porterà a imprecisioni o rovinerà l'intera imagine.
I “ritagliatori” accentuano le
linee di taglio secondo diversi stili, ce ne sono quattro ideali ma
essenziali che si sforzano di perfezionare. Loro cercano di
intagliare la luna come un cerchio, un gambo di grano come una linea
dritta. Le persone trovano speranza e conforto nell'esprimere i
desideri con i ritagli di carta. Per esempio per una cerimonia di
matrimonio, ritagli di carta rossi sono decorazioni tradizionali e
richieste sul servizio da te', sui bicchieri della toilette e sui
mobili. Un grosso carattere di carta rosso “XI” (felicità) è
d'obbligo sulle porte delle persone appena sposate.
Durante le feste di compleanno delle
persone più anziane, il carattere “Shou” rappresenta longevità e
delizierà l'intera cerimonia, mentre un modello di bambini paffuti
che stringono un pesce significa che ogni anno avranno abbondanti
ricchezze.
domenica 15 giugno 2014
Fascino e mistero della Tagelmust
La Tagelmust
è il tradizionale copricapo delle popolazioni nomadi del Sahara,
soprattutto i Tuaregh. E' formata da una lunga striscia in cotone –
tra i 3 e gli 8 metri – che i Tuaregh portano avvolta sul capo e
attorno al viso.
Questa specie di turbante funge da riparo contro i raggi violenti del sole del deserto e le correnti di sabbia trasportante dal vento, ma è anche un importante simbolo di protezione spirituale: i Tuaregh credono infatti che la Tagelmust debba coprire la bocca per evitare che gli spiriti maligni che abitino il deserto possano utilizzarla come via d'accesso all'anima umana; per questo motivo anche durante i pasti è proibito scoprire la bocca.
La Tagelmust tradizionale è di color Indaco, e il processo di tintura del cotone avviene ancora manualmente. Data purtroppo la scarsità d'acqua spesso il cotone è tinto con polveri a secco, che nel tempo però perdono aderenza con il tessuto, trasferendosi sulla pelle – motivo per il quale i Tuaregh sono conosciuti anche come “gli uomini blu”. Sempre a causa della poca quantità d'acqua a disposizione dei popoli nomadi del deserto, spesso il cotone viene lasciato “naturale”, e così si possono avere Tagelmust di vari colori, anche se l'Indaco, ritenuto un colore dalle particolari proprietà virtuose, è il colore utilizzato nelle cerimonie più importanti, soprattutto religiose.
Particolare interesse è rivolto alle Tagelmust Indaco dal tono più scuro o intenso, poiché denotano le possibilità economiche di chi la indossa.
Questo “indumento” è riservato agli uomini Tuaregh adulti, che la possono togliere solo in presenza di familiari molto stretti, mentre le donne possono avere il viso scoperto, invertendo completamente l'ordine religioso del resto delle popolazioni islamiche.
Questa specie di turbante funge da riparo contro i raggi violenti del sole del deserto e le correnti di sabbia trasportante dal vento, ma è anche un importante simbolo di protezione spirituale: i Tuaregh credono infatti che la Tagelmust debba coprire la bocca per evitare che gli spiriti maligni che abitino il deserto possano utilizzarla come via d'accesso all'anima umana; per questo motivo anche durante i pasti è proibito scoprire la bocca.
La Tagelmust tradizionale è di color Indaco, e il processo di tintura del cotone avviene ancora manualmente. Data purtroppo la scarsità d'acqua spesso il cotone è tinto con polveri a secco, che nel tempo però perdono aderenza con il tessuto, trasferendosi sulla pelle – motivo per il quale i Tuaregh sono conosciuti anche come “gli uomini blu”. Sempre a causa della poca quantità d'acqua a disposizione dei popoli nomadi del deserto, spesso il cotone viene lasciato “naturale”, e così si possono avere Tagelmust di vari colori, anche se l'Indaco, ritenuto un colore dalle particolari proprietà virtuose, è il colore utilizzato nelle cerimonie più importanti, soprattutto religiose.
Particolare interesse è rivolto alle Tagelmust Indaco dal tono più scuro o intenso, poiché denotano le possibilità economiche di chi la indossa.
Questo “indumento” è riservato agli uomini Tuaregh adulti, che la possono togliere solo in presenza di familiari molto stretti, mentre le donne possono avere il viso scoperto, invertendo completamente l'ordine religioso del resto delle popolazioni islamiche.
La Tagelmust ha moltissimi significati
sociali, legati soprattutto al modo di avvolgerla e piegarla sul
capo, diversa a seconda del clan, del ruolo che vi si ricopre o
addirittura della regione di origine.
sabato 14 giugno 2014
Hara, la tradizione Maori resa famosa dal rugby
La Hara è la danza tipica dell'etnia
neozelandese dei Maori, adottata per la sua originale intensità come
“grido di battaglia” dalla nazionale di rugby degli All Blacks è
divenuta simbolo dell'identità di un'etnia.
La Haka, erroneamente indicata come danza di guerra è in realtà l'espressione disciplinata ma emozionante ed emozionale che, chi la esegue, utilizza per esprimere il proprio stato d'animo, sia esso positivo o negativo durante riti, feste o celebrazioni.
“Haka” significa infatti “accendere il respiro”, da HA (soffio) e KA (infiammare), ed è una danza tesa ad impressionare, o comunque comunicare in modo incisivo e forte la propria aggressività. La lingua fuori, i denti serrati, gli occhi spalancati o i colpi al petto e sugli avambracci, sono tutti simboli di potenza e coraggio che si ricollegano allo spirito guerriero dei Maori.
La leggenda riguardante la nascita di questa danza racconta di un importante e ricco capo Maori, che per sfuggire a feroci assassini si nascose nel pozzo di un piccolo villaggio e con l'aiuto di una giovane coppia fece perdere le sue tracce. La coppia al principio tentò di convincere gli assassini che l'uomo non si trovava lì, e in quel momento questi, dal pozzo, sussurrava tra sé – in lingua Maori - “Ka Mate, Ka Mate” (io muoio, io muoio); quando invece sentì che si erano allontanati urlò di gioia “Ka Ora, Ka Ora” (io vivo, io vivo).
Resa celebre dalla più popolare versione della nazionale di rugby All Blacks, la Haka si suddivide in realtà in tre diversi stili :
La Kamate: propria degli All Blacks e ripetuta sempre dopo gli inni nazionali per intimorire gli avversari, è un tipo di Haka molto corto, che non prevede l'uso di armi.
La “Peruperu”: tipica danza di guerra, in cui vengono usate anche le armi, è caratterizzata da un gran salto a gambe piegate alla fine della danza.
“Kapa” o “Pango”: voluta dagli All Blacks per le occasioni speciali, è stata creata con un gruppo di esperti delle tradizioni dei Maori, ed è stata voluta per completare la “Ka Mate”. Fa esplicitamente riferimento agli All Blacks, quando parla di “guerrieri in nero con la felce argentata”, ed è considerata più aggressiva, con più accenni di sfida verso gli avversari.
Il tono della danza nel rugby è sempre aggressivo, feroce, e la guida del gruppo è affidata al membro più anziano della squadra.
L' Haka venne usata per la prima volta in ambito sportivo durante il primo torneo estero della squadra neozelandese di rugby nel 1888, ma in quella versione i giocatori erano coperti da un mantello bianco, che lanciavano in aria alla fine della danza. La prima volta che la Haka venne utilizzata dalla nazionale di rugby fu invece nel 1905, quando venne coniato il termine “All Blacks”.
La Haka, erroneamente indicata come danza di guerra è in realtà l'espressione disciplinata ma emozionante ed emozionale che, chi la esegue, utilizza per esprimere il proprio stato d'animo, sia esso positivo o negativo durante riti, feste o celebrazioni.
“Haka” significa infatti “accendere il respiro”, da HA (soffio) e KA (infiammare), ed è una danza tesa ad impressionare, o comunque comunicare in modo incisivo e forte la propria aggressività. La lingua fuori, i denti serrati, gli occhi spalancati o i colpi al petto e sugli avambracci, sono tutti simboli di potenza e coraggio che si ricollegano allo spirito guerriero dei Maori.
La leggenda riguardante la nascita di questa danza racconta di un importante e ricco capo Maori, che per sfuggire a feroci assassini si nascose nel pozzo di un piccolo villaggio e con l'aiuto di una giovane coppia fece perdere le sue tracce. La coppia al principio tentò di convincere gli assassini che l'uomo non si trovava lì, e in quel momento questi, dal pozzo, sussurrava tra sé – in lingua Maori - “Ka Mate, Ka Mate” (io muoio, io muoio); quando invece sentì che si erano allontanati urlò di gioia “Ka Ora, Ka Ora” (io vivo, io vivo).
Resa celebre dalla più popolare versione della nazionale di rugby All Blacks, la Haka si suddivide in realtà in tre diversi stili :
La Kamate: propria degli All Blacks e ripetuta sempre dopo gli inni nazionali per intimorire gli avversari, è un tipo di Haka molto corto, che non prevede l'uso di armi.
La “Peruperu”: tipica danza di guerra, in cui vengono usate anche le armi, è caratterizzata da un gran salto a gambe piegate alla fine della danza.
“Kapa” o “Pango”: voluta dagli All Blacks per le occasioni speciali, è stata creata con un gruppo di esperti delle tradizioni dei Maori, ed è stata voluta per completare la “Ka Mate”. Fa esplicitamente riferimento agli All Blacks, quando parla di “guerrieri in nero con la felce argentata”, ed è considerata più aggressiva, con più accenni di sfida verso gli avversari.
Il tono della danza nel rugby è sempre aggressivo, feroce, e la guida del gruppo è affidata al membro più anziano della squadra.
L' Haka venne usata per la prima volta in ambito sportivo durante il primo torneo estero della squadra neozelandese di rugby nel 1888, ma in quella versione i giocatori erano coperti da un mantello bianco, che lanciavano in aria alla fine della danza. La prima volta che la Haka venne utilizzata dalla nazionale di rugby fu invece nel 1905, quando venne coniato il termine “All Blacks”.
venerdì 13 giugno 2014
La capoeira conquista il pubblico dei Mondiali
La cerimonia inaugurale dei Mondiali di
calcio in Brasile ha visto protagonista, tra le diverse espressioni
artistiche presenti, la capoeira. L'arte della capoeira (una
danza mista a lotta) è una delle più alte espressioni
folcloristiche ed artistiche del Brasile. Quest'antica lotta di
liberazione, deriva da una danza, in Brasile viene praticata da
tutti, bambini, donne uomini e la si può vedere per le strade, negli
spettacoli e nelle palestre. In tante canzoni popolari e moderne la
parola "Capoeira" ricorre ed evocare qualsiasi simbolo di
questo grande paese.
La capoeira accompagnò il popolo brasiliano fin dalle sue più antiche origini. Nacque circa quattro secoli fa, (intorno al 1580), e la sua origine è negra, infatti gli schiavi africani bantù, deportati dai colonizzatori portoghesi in Brasile ed inizialmente nell'area di Bahia, portarono con sé i loro rituali e la loro cultura, e tra questi, la "danza della zebra" ed un particolare strumento monocorde, il "Berimbau", diventato ormai un simbolo del Brasile, il cui suono fa vibrare di emozione il cuore di ogni brasiliano e dei "capoeiristas" in particolare.
Questi schiavi africani originari dell'Angola e del Congo, venivano impiegati come mano d'opera in lavori massacranti nelle piantagioni di canna da zucchero; al termine delle loro giornate si riunivano e ripercorrevano con la memoria il loro passato di libertà con i canti, le danze, le musiche ed i rituali: tra questi uno diventò "Capoeira", una particolare forma di autodifesa e di lotta mascherata sotto forma di rituale e mimica.
Molti schiavi in questo modo riuscirono a difendersi dai soprusi e dalle frustate dei coloni europei, ad eliminare i sorveglianti bianchi che li vessavano ed a fuggire nelle foreste dell'interno del Brasile.
La capoeira accompagnò il popolo brasiliano fin dalle sue più antiche origini. Nacque circa quattro secoli fa, (intorno al 1580), e la sua origine è negra, infatti gli schiavi africani bantù, deportati dai colonizzatori portoghesi in Brasile ed inizialmente nell'area di Bahia, portarono con sé i loro rituali e la loro cultura, e tra questi, la "danza della zebra" ed un particolare strumento monocorde, il "Berimbau", diventato ormai un simbolo del Brasile, il cui suono fa vibrare di emozione il cuore di ogni brasiliano e dei "capoeiristas" in particolare.
Questi schiavi africani originari dell'Angola e del Congo, venivano impiegati come mano d'opera in lavori massacranti nelle piantagioni di canna da zucchero; al termine delle loro giornate si riunivano e ripercorrevano con la memoria il loro passato di libertà con i canti, le danze, le musiche ed i rituali: tra questi uno diventò "Capoeira", una particolare forma di autodifesa e di lotta mascherata sotto forma di rituale e mimica.
Molti schiavi in questo modo riuscirono a difendersi dai soprusi e dalle frustate dei coloni europei, ad eliminare i sorveglianti bianchi che li vessavano ed a fuggire nelle foreste dell'interno del Brasile.
giovedì 12 giugno 2014
Danza orientale, arte unica dai molteplici stili
Una delle più
antiche danze al mondo è la danza orientale, originaria del
Medio-Oriente e dei paesi arabi. E' eseguita tradizionalmente dalle
donne, perché esprime interamente la femminilità, la vitalità e la
sensualità. In generale è caratterizzata dalla sinuosità e dalla
sensualità dei movimenti. La danza orientale è unica nel suo
genere anche se esistono diversi stili, che cambiano a seconda del
paese d'origine, come la danza col velo.
Tra i diversi stili
si possono ricordare:
Stile danza
orientale autentica con danza Hawzi,
uno stile caratterizzato da movimenti eleganti, ampi e dolci, la
danza viene resa fluida grazie al coinvolgimento armonico del corpo
della danzatrice.
Stile Šarqī:
inizialmente legato alla tradizione di danze ballate nelle corti
islamiche, si evolve nei primi decenni del Novecento. Le interpreti
dei cabaret egiziani iniziarono a ricorrere a coreografie e
all'utilizzo di strumenti quali il velo, il candelabro e le scarpe
col tacco, introducendo inoltre passi derivanti dal balletto classico
come l'arabesque
e lo chassé.
Stile Baladī: è caratterizzato
dalla movenza del bacino carica di intensità. I movimenti delle
braccia sono meno ampi e svolazzanti rispetto a quelli dello stile
Šarqī. Si prediligono le camminate con il piede a terra e non in
mezza punta come nello stile classico. Lo stile Baladī è una danza
popolare cittadina che nasce dall'incontro della popolazione rurale
con quella urbana.
Stile Ša'abī: è legato alla
terra, caratterizzato dalla spontaneità, semplicità e allegria. E'
lo stile popolare egiziano. Le danze popolari comprendono repertori
zingari (ġawāzī) e delle campagne (fellahī). La variante egiziana
è quella interpretata con il bastone, chiamata sayydī.
Stile Danza di Iaset o La Danza del
Ventre dell'Egitto Faraonico: questo stile è stato creato nel
1993 in Brasile dall'insegnante di ballo Regina Ferrari come una
rappresentazione artistica della danza dell'Antico Egitto, con
simbolismo fittizio e immaginario. Non è una danza con finalità
esoterica, da essere utilizzata nei riti di magia. Questa danza è
composta con i movimenti della danza del ventre arabo, mescolati con
i passi del balletto classico e una interpretazione fittizie per ogni
movimento. Ci sono diverse coreografie con l'uso di vari veli, fino a
nove, che portano la sensazione di mistero, però non c'è nessun
legame tra le coreografie create e la vera danza praticata nei riti
di magia nell'Antico Egitto.
mercoledì 11 giugno 2014
Sri Lanka, il fascino della danza Kandy
Kandy è la danza
ufficiale dello Sri Lanka e risale al tempo dei re di Kandy. Una leggenda vuole che la danza kandiana sia nata 2500 anni fa, in seguito alla liberazione di un re da un incantesimo.
La tradizione narra che questa danza divenne talmente raffinata che monaci buddisti accettarono che fosse rappresentata nei cortili dei templi.
Oggi è considerata la danza tradizionale. Si balla in quattro versioni e numerosi gesti mimano i movimenti degli animali. Il danzatore è a torso nudo, indossa un'ampia gonna, numerose collane in argento e in avorio, braccialetti e anelli d'argento ai piedi. I danzatori sono accompagnati da musicisti e percussionisti e realizzano piroette e salti.
Originario del sud dell'India, il dramma mascherato include quattro tipi di drammi. Tali danze si svolgono una volta all'anno, durante la notte, e durano da 7 a 10 minuti. Danzatori, percussionisti, cantanti e maestro di cerimonia animano il dramma popolare. Delle maschere nascondono i visi dei danzatori. Il più conosciuto di questi drammi è il kolam, che mette in scena molti personaggi grotteschi e deformati.
La tradizione narra che questa danza divenne talmente raffinata che monaci buddisti accettarono che fosse rappresentata nei cortili dei templi.
Oggi è considerata la danza tradizionale. Si balla in quattro versioni e numerosi gesti mimano i movimenti degli animali. Il danzatore è a torso nudo, indossa un'ampia gonna, numerose collane in argento e in avorio, braccialetti e anelli d'argento ai piedi. I danzatori sono accompagnati da musicisti e percussionisti e realizzano piroette e salti.
Originario del sud dell'India, il dramma mascherato include quattro tipi di drammi. Tali danze si svolgono una volta all'anno, durante la notte, e durano da 7 a 10 minuti. Danzatori, percussionisti, cantanti e maestro di cerimonia animano il dramma popolare. Delle maschere nascondono i visi dei danzatori. Il più conosciuto di questi drammi è il kolam, che mette in scena molti personaggi grotteschi e deformati.
martedì 10 giugno 2014
Arte aborigena e spiritualità, una mostra di Richard J. Campbell
Focus sull'arte e la spiritualità
aborigena ad Orvieto. Entra, infatti, nel vivo la nona edizione del
Festival di Arte e Fede. Dopo l’inaugurazione de “La Moisson
Mistique - La raccolta Mistica” dell’artista Marie Dominique
Miserez, è in programma per stasera, martedì 10 giugno alle 19 a
Palazzo dei Sette di Orvieto, il taglio del nastro di un’altra
mostra, questa volta dedicata alla spiritualità aborigena. L’artista
è Richard J Campbell, uno dei più noti in Australia, che nella sua
“Stations of the cross” testimonia come, appunto, la spiritualità
aborigena possa esprimersi e completarsi attraverso quella cristiana.
All'inaugurazione della mostra,
che resterà aperta fino al 18 Giugno nella sede di Palazzo dei
Sette, prenderà parte S.E. John McCarthy dell'Ambasciata d'Australia
presso la Santa Sede.
“L'arte aborigena australiana è la
più antica tradizione artistica del mondo - spiega il direttore del
Festival Alessandro Lardani - da sempre, espressione culturale e
spirituale che riflette la diversità delle tribù, delle lingue e
dei paesaggi. Si tratta di un'antica forma di arte che si è
riscoperta dopo il 1970, ed è divenuta un movimento artistico unico
del XX secolo. Molti aborigeni sono cristiani, e come Campbell sono
in grado di integrare, nella loro arte, le tradizioni indigene con
quelle cristiane”.
“Questa mostra - prosegue Lardani -
testimonia proprio come la spiritualità aborigena possa esprimersi e
completarsi attraverso quella cristiana. Ad esempio il Cenacolo di
Campbell rispecchia il Corroboree australiano, un raduno sacro dei
leader di una tribù indigena in cui si prendono decisioni
importanti, anche in situazioni difficili di colonizzazione. Ecco la
connessione spirituale della pittura: l’angoscia di Cristo si
incarna nelle continue sofferenze dell’oggi”.
“Abbiamo tutti una connessione
spirituale, noi siamo tutti fratelli e sorelle, con gli animali, gli
alberi, i fiumi e le rocce ... siamo tutti uno in Dio” afferma
Campbell.
domenica 8 giugno 2014
L'antica tradizione del caffè turco
La nascita del caffè come bevanda
presenta origini oscure. Secondo un' antichissima leggenda, un
pastorello africano, mentre pascolava le sue pecore, vide che il suo
gregge era diventato improvvisamente più energico del solito; scoprì
che la fonte di tanta energia erano stati i chicchi di una pianta
sconosciuta, che volle provare lui stesso.
Colpito dall'effetto miracoloso provocato dai chicchi misteriosi, li fece provare a molte persone del suo villaggio, ma non tutti accettarono la nuova scoperta con entusiasmo; così ci fu qualcuno che, temendo di rimanere vittima di un maleficio, li gettò nel fuoco salvo poi, riprenderli, gettarli nell'acqua e creare il primo caffè della storia.
Il passo dalla leggenda alla realtà diventa più difficile. Si è certi però che il caffè fosse presente nel medioriente. A Costantinopoli nel 1554 viene aperta una prima bottega del caffè, in seguito ebbe una larga diffusione anche in Siria, in Palestina, in Egitto. In Europa le prime botteghe di caffè comparvero nel 1600 e nel 1700 apre a Venezia il mitico Caffè Florian, ritrovo di intellettuali ed artisti.
In seguito le preziose piantine di caffè furono esportate in Sudamerica e in tutto il mondo. I turchi dicono del caffè: “Deve essere nero come l'inferno, forte come la morte e dolce come l'amore”.
La tradizione del caffè turco è unica per via del suo processo di preparazione. La polvere di caffè viene macinata in modo che sia finissima; poi la si fa bollire dentro l'ibrik, un piccolo bricco d'ottone insieme con acqua, zucchero e, in base alle diverse tradizioni, con spezie. Questa miscela viene fatta bollire e sbollire tre volte prima di essere versata in una tazzina rigorosamente di porcellana avvolta da un guscio d'ottone. Il caffè così ottenuto deve riposare almeno un paio di minuti prima di essere bevuto per fare in modo che la polvere si depositi sul fondo della tazzina. Nei bar turchi non è difficile incontrare qualcuno che abbia voglia di “leggere” i fondi del caffè, capovolgendo la tazzina e indagando passato e futuro nei residui lasciati sul piattino.
Colpito dall'effetto miracoloso provocato dai chicchi misteriosi, li fece provare a molte persone del suo villaggio, ma non tutti accettarono la nuova scoperta con entusiasmo; così ci fu qualcuno che, temendo di rimanere vittima di un maleficio, li gettò nel fuoco salvo poi, riprenderli, gettarli nell'acqua e creare il primo caffè della storia.
Il passo dalla leggenda alla realtà diventa più difficile. Si è certi però che il caffè fosse presente nel medioriente. A Costantinopoli nel 1554 viene aperta una prima bottega del caffè, in seguito ebbe una larga diffusione anche in Siria, in Palestina, in Egitto. In Europa le prime botteghe di caffè comparvero nel 1600 e nel 1700 apre a Venezia il mitico Caffè Florian, ritrovo di intellettuali ed artisti.
In seguito le preziose piantine di caffè furono esportate in Sudamerica e in tutto il mondo. I turchi dicono del caffè: “Deve essere nero come l'inferno, forte come la morte e dolce come l'amore”.
La tradizione del caffè turco è unica per via del suo processo di preparazione. La polvere di caffè viene macinata in modo che sia finissima; poi la si fa bollire dentro l'ibrik, un piccolo bricco d'ottone insieme con acqua, zucchero e, in base alle diverse tradizioni, con spezie. Questa miscela viene fatta bollire e sbollire tre volte prima di essere versata in una tazzina rigorosamente di porcellana avvolta da un guscio d'ottone. Il caffè così ottenuto deve riposare almeno un paio di minuti prima di essere bevuto per fare in modo che la polvere si depositi sul fondo della tazzina. Nei bar turchi non è difficile incontrare qualcuno che abbia voglia di “leggere” i fondi del caffè, capovolgendo la tazzina e indagando passato e futuro nei residui lasciati sul piattino.
Altre informazioni su locali e caffè
anche sul nuovo portale ufficiale di Istanbul: howtoistanbul.com
sabato 7 giugno 2014
In Thailandia la musica che non segue le note
Esiste una musica al mondo che non
segue nessuna nota ma è il musicista a creare la melodia. Chi vuole
imparare a suonare, come nella danza, deve seguire i movimenti del
maestro. Si tratta della musica tradizionale thailandese o musica
thai. Gli strumenti caratteristici sono il vot (una
siringa fatta di canne di bambù), il pin (una specie di
chitarra), il nonglang (una specie di xilofono di legno) e il
khaen (una specie di armonica di canne di bambù).
Il gruppo tradizionale o piphat band
è normalmente formato dai cinque ai venticinque musicisti.
La musica thai è piuttosto complessa:
spesso funge da accompagnamento alle rappresentazioni teatrali.
Presenta diverse analogie con la tradizione musicale occidentale e
con quella cambogiana.
venerdì 6 giugno 2014
L'arte tessile del Mali, la tecnica del bogolan
Una grande farfalla nell'area
nord-occidentale dell’Africa. Il Mali è un mosaico di popoli,
culture e tradizioni. In questo territorio convivono numerosi gruppi
etnici dai Bambara ai Malinkè, dai Tuareg ai Mauri, dai Bobo ai
Mossi, dai Fulbe ai Shongai. Una diversità etnica e geografica che
riflette la variegata cultura.
Tra le tipicità va certamente
segnalata l’arte di tingere i tessuti. I tessuti,
presso le popolazioni del Mali, rivestono una grande importanza nella
società, sia come manifestazione visibile dello status sociale di
chi lo porta, sia come elemento propiziatorio e rituale in numerosi
momenti della vita dell'individuo.
Tra le tecniche di
tintura c'è il bogolan
è un procedimento antico proprio delle popolazioni Bambara,
Malinké, Sénoufo, Bobo e Dogon. Il
significato del termine “bogolan” è "il risultato che porta
l’argilla” e in effetti le decorazioni sono ottenute utilizzando
il fango applicato sul tessuto
I bogolan sono strette
strisce di stoffa, tradizionalmente di cotone, la cui filatura è
eseguita dalle donne che, sedute a terra, tirano, torcono e avvolgono
con gesti antichissimi il filo intorno a un fuso, mentre la tessitura
è affidata esclusivamente agli uomini.
Il procedimento di decorazione avviene
in più fasi successive. La stoffa dapprima viene lavata in acqua,
asciugata al sole, e tinta di giallo con un’infusione, preparata
con foglie di Anogeissus leiocarpus e Combretum glutinosum. Viene poi
realizzato il disegno, utilizzando un bastoncino e il fango nero di
pozzo, raccolto un anno prima e fermentato in una giara. Possono
essere fatti successivi bagni nella tinta gialla e applicazioni di
fango, in base alla tinta bruna che si vuole ottenere. In questo modo
si ottengono segni gialli su fondo marrone.
Con l′applicazione sui segni di una
soluzione di arachidi, soda caustica, crusca di miglio e acqua, il
giallo si muta in marrone, e solo dopo una settimana di asciugatura
al sole e un ulteriore lavaggio, emerge un disegno bianco su fondo
scuro.
Il bogolan riveste una grande
importanza nella società. Per gli uomini è legato alla
caccia e costituisce una protezione contro le energie negative
sprigionate dall'animale ucciso. Le donne vestono il loro
primo bogolan in occasione del passaggio all'età adulta e lo
portano in tutte le fasi successive della vita. La decorazione
costituisce un vero e proprio testo, il cui significato è
accessibile solo a chi abbia seguito un'opportuna iniziazione. Un
universo di simboli si dispiega sul bogolan: non solo luoghi, persone
e animali vi sono rappresentati, ma anche idee astratte e religiose.
https://www.youtube.com/watch?v=4OOaWexD2Jg
https://www.youtube.com/watch?v=4OOaWexD2Jg
Per avere un panorama
completo dell’arte tessile maliana si può visitare a Bamako il
Musée National, il più interessante dell’Africa occidentale.
giovedì 5 giugno 2014
Ecuador, una terra dai mille volti con unico e forte amore per la conoscenza
L'Ecuador è un territorio straordinario, somma di culture e tradizioni diverse, ecosistemi ed etnie. In esso convivono, infatti, popolazioni di origine indigena, meticcia e afro-discendente. In esso troviamo la costa, le Ande, la foresta amazzonica e, e le isole Galapagos. Questa sua peculiarità ne fa un Paese unico e tutto da scoprire. Per conoscerlo meglio è in corso una mostra al Castello D'Albertis di Genova, aperta fino al 6 luglio, che, dopo aver presentato le diversità naturali e umane dell'Ecuador, offre un approfondimento sulle espressioni culturali dell'archeologia di questo territorio. "Ecuador al Mundo: un viaje por su historia ancestral", questo il titolo dell'esposizione, evidenza come dal periodo pre-ceramico all'impero Inca l'elemento comune a tutti i gruppi sia stato lo scambio di conoscenza in rapporto all'uso delle materie prime. La mostra si conclude evidenziando il ruolo del patrimonio culturale nella definizione dell'identità interculturale e plurietnica e come il recupero dei beni e dei saperi faccia parte esso stesso dell'identità dell'Ecuador.
Tra gli eventi collaterali alla mostra, va segnalato il laboratorio gratuito di musica e cultura afromestiza ecuadoriana del gruppo di musica e danza "Afromestizio Candente". L'appuntamento è per il 12 giugno alle 17 sempre presso il Castello D'Albertis di Genova.
Il Museo delle Culture del Mondo di Castello D’Albertis offre un percorso nella dimora del Capitano Enrico Alberto D’Albertis, suo ideatore. Viaggiando per mare e per terra tra ‘800 e ‘900, il Capitano ha racchiuso nella sua dimora il suo mondo in una cornice romantica a cavallo tra “camere delle meraviglie” e trofei coloniali. Il suo castello testimonia il fascino che i mondi lontani da lui visitati hanno esercitato sul suo spirito, impregnato di “genovesità” e amore per il mare e di altrettanta curiosità verso l’ignoto e l’intentato. Ma non solo: con l’ingresso nel bastione cinquecentesco, su cui è stato costruito il castello, si apre un secondo percorso di visita nel quale il materiale archeologico ed etnografico viene svelato attraverso il dialogo e lo scambio con le popolazioni da cui proviene, per dar voce a prospettive multiple e relativizzare le nostre certezze. Castello D’Albertis non è solo la casa del Capitano D’Albertis, ma la nostra stessa casa, la casa delle nostre pulsioni e fascinazioni, delle nostre paure ed esplorazioni, delle domande che segnano il nostro rapporto con il mondo.
http://www.museidigenova.it/spip.php?rubrique25
Il Museo delle Culture del Mondo di Castello D’Albertis offre un percorso nella dimora del Capitano Enrico Alberto D’Albertis, suo ideatore. Viaggiando per mare e per terra tra ‘800 e ‘900, il Capitano ha racchiuso nella sua dimora il suo mondo in una cornice romantica a cavallo tra “camere delle meraviglie” e trofei coloniali. Il suo castello testimonia il fascino che i mondi lontani da lui visitati hanno esercitato sul suo spirito, impregnato di “genovesità” e amore per il mare e di altrettanta curiosità verso l’ignoto e l’intentato. Ma non solo: con l’ingresso nel bastione cinquecentesco, su cui è stato costruito il castello, si apre un secondo percorso di visita nel quale il materiale archeologico ed etnografico viene svelato attraverso il dialogo e lo scambio con le popolazioni da cui proviene, per dar voce a prospettive multiple e relativizzare le nostre certezze. Castello D’Albertis non è solo la casa del Capitano D’Albertis, ma la nostra stessa casa, la casa delle nostre pulsioni e fascinazioni, delle nostre paure ed esplorazioni, delle domande che segnano il nostro rapporto con il mondo.
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martedì 15 aprile 2014
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